Il dibattito continua e Rajoy, come sempre, sembra non avere fretta. Ha rimandato a dopo le elezioni europee la decisione sulla riforma della legge sull’aborto: se la proposta di legge del ministro della Giustizia, Alberto Ruiz Gallardón, sarà approvata senza modifiche si tratterrà del primo passo verso la protezione dei nascituri in tutta l’Europa. Mentre si attende la decisione, il dibattito pubblico su questo tema è diventato un esempio formidabile, un autentico caso pratico, dei diversi modi di usare la ragione. E questo non c’entra molto con l’essere abortisti o meno.
La stragrande maggioranza degli spagnoli riconosce che quel che una donna incinta porta in seno è una vita umana; ma allo stesso tempo molti affermano che il diritto all’autodeterminazione è un principio superiore. Siamo di fronte a un uso ideologico della ragione. “Nel caso dell’aborto appare con chiarezza la fisionomia della libertà umana”, afferma Ratzinger in “Fede, verità, tolleranza”. La libertà individualista tipica di un certo illuminismo non riconosce più il fatto che l’essere della madre si realizza nell’essere-per il bambino.
Le argomentazioni in favore dell’aborto sono ideologiche, ma c’è un modo di affermare il valore della vita che può cadere nell’ideologizzazione, che può allontanarsi dalla realtà. La verità non è un principio astratto e freddo, ma è sempre un dialogo. Lo ha ricordato papa Francesco: “La verità è una relazione. […] Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. […] In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa”. Le parole del Papa implicano un determinato uso della ragione che in questo caso si traduce in un abbraccio al dramma del bambino non nato, della madre che abortisce perché è sola o semplicemente perché ha usato male la propria libertà.
In Spagna, nella maggior parte dei casi, si abortisce per ragioni economiche. Usare “umiltà e apertura” vuol dire accogliere tutto l’umano che c’è in gioco, anche in coloro che si esprimono ideologicamente. L’ideologia è sempre sostenuta da qualcuno che è pur sempre una persona. La differenza tra chi “sostiene” la causa buona della vita in modo astratto e chi si “implica” con la vita è evidente: il primo non cambia, mentre il secondo vive un’avventura che lo trasforma.
Il dibattito sull’aborto sta rendendo evidenti i punti deboli del cristianesimo di questi tempi: la dimenticanza del dramma umano e la riduzione della fede a un insieme di valori. Si tratta delle conseguenze della secolarizzazione che identifica il cristianesimo con il mondo (cristianesimo anonimo) e fanno sì che si dia per scontata l’esperienza che permette di affermare la vita in qualunque circostanza.
Il processo di costruzione di questo “cristianesimo anonimo” è cominciato nel XIII secolo, ma ha raggiunto il suo picco in una corrente dell’Illuminismo, che sosteneva che l’illuminazione consisteva nell’accorgersi che il contenuto della fede è quello che ogni uomo porta dentro. Guardini lo aveva chiamato il “doppio gioco” di chi “da un lato rifiuta la dottrina e l’ordine cristiano della vita e dall’altro rivendica a sé le conseguenze umane e culturali di quella stessa dottrina”.
Il cristianesimo anonimo è stato quello che dopo la Seconda guerra mondiale ha affermato i valori occidentali a prescindere dalla loro origine, come il progressismo degli anni ‘70 che ha dato vita a un’interpretazione errata del Concilio. Più recentemente ne possiamo riconoscere i tratti nelle interpretazioni teocon dell’epoca di Bush o in un certo liberalismo cattolico. Ci sono anche alcune forme di affermazione del diritto naturale che non fanno i conti con la necessità, per le cose più quotidiane, di una salvezza che venga dall’esterno. Non è un bene che i cristiani siano gli ultimi ad accorgersi che i valori non si reggono da sé. Bisogna essere coscienti che “a volte la meritoria macchina del vapore dell’Illuminismo si ferma e il vapore svanisce nell’aria” (Andrzej Szczypiorski).
Al cristianesimo dei valori non interessa il dramma umano, questo “materiale” utilissimo che permette di riconoscere il divino nella storia. Da questa prospettiva, chiusa e autosufficiente, il cuore che “aspetta, / alla luce guardando ed alla vita, / altro prodigio della primavera” (come scriveva Machado) non significa nulla. Per abbracciare il cristianesimo così come si presenta, come un avvenimento, c’è bisogno, come diceva Peguy, di una grazia che consiste nell’avere una “disgrazia”: quella di non essere a posto.