Dal 2002, data a partire dalla quale è stato vietato l’anonimato dei donatori di seme, una guida turistica olandese ha deciso di offrire gratuitamente il proprio sperma on line a chiunque ne facesse richiesta. Oggi si dichiara felice di aver contribuito a donare la vita a 98 bambini dei quali è, a tutti gli effetti, il padre naturale. A tal proposito dichiara di essere stato guidato, in ogni singola impresa, dalla “bellissima speranza di creare una nuova vita che sarà amata e seguita”. Ovviamente non si può che rispettare una scelta così altruista: la felicità delle coppie che, grazie al suo contributo, diventeranno comunque genitori nonostante la loro infertilità accidentale oppure strutturale (come avviene nel caso delle coppie gay) è lì a dimostrarlo e c’è sinceramente da credere che questi bambini saranno amati e seguiti al meglio da quanti hanno scelto di ricorrere ad una simile opportunità.
Tuttavia, affinché una simile notizia possa risolversi nell’happy end felicemente annunciato dalla stampa, occorre ammettere che un giorno queste coppie dovranno spiegare ai bambini che il loro papà naturale non è la cara persona che hanno visto fin dalla nascita, ma un bravo signore olandese che ha deciso di donare il proprio sperma affinché loro, assieme ad un centinaio di fratellini e sorelline che verosimilmente non conosceranno mai, potessero venire al mondo.
L’evoluzione che si sta manifestando sotto i nostri occhi è esplicita: non si stanno adottando bambini abbandonati o senza più genitori, ma si sta decidendo a tavolino la creazione di nuove vite, quindi di persone, in modo del tutto indipendente dalla coppia naturale. Si stanno così sviluppando delle realtà geneticamente filtrate da un processo tecnologico, realizzando così l’utopia di produrre ciò che la natura non può dare e, in qualche caso, ciò che gli apparati riproduttivi non possono minimamente concedere, come avviene nel caso delle coppie omosessuali.
Per realizzare un tale obiettivo occorre ammettere – ed è quello che di fatto si sta facendo – che tanto la figura paterna quanto quella materna (il caso degli uteri in affitto è infatti l’equivalente femminile della donazione di sperma) non debbano coincidere necessariamente con quelle naturali, ma possano essere sostituite dalla coppia che ha deciso la nascita, l’ha cioè desiderata e voluta, acquistandola come qualsiasi altro bene del quale ha sentito la necessità.
Ma si può essere realmente certi che una vita voluta e ottenuta senza un padre naturale o senza una madre naturale, ma con un donatore o una prestatrice di funzione, sia comunque psichicamente sopportabile? Siamo certi che la produzione di bambini, realizzata attraverso semi donati e uteri in affitto, sia equivalente a quella assicurata dall’alba dei tempi da un padre e da una madre biologici? Siamo certi che questo sogno di indipendenza dalla natura non si trasformi nell’incubo di esistenze adulte improponibili?
La prudenza, la phronesis dei greci, suggerirebbe maggiore cautela, ma l’allegra e gaia nave dei folli sulla quale siamo tutti imbarcati sembra ostracizzare e condannare qualsiasi perplessità. Padre e madre naturali – ci assicurano i colleghi assertori dell’ultima deriva costruttivista – sono funzioni meramente culturali: le loro figure possono essere serenamente sostituite da padri e madri acquisiti e una tale assenza non desterà alcun problema.
Ci si separa così, in modo definitivo, da una dimensione della paternità costitutiva del nostro processo di civilizzazione. L’immagine virgiliana di Enea, con il vecchio padre sulle spalle e il figlio per mano diventa sempre più incomprensibile: questi cercava un luogo per fondare una nuova città, erede di quella che gli era stata distrutta. Ma per farlo, cioè per superare il dolore della fine del mondo che gli era caro, aveva bisogno di un’eredità vivente (il proprio padre) e di una promessa di esistenza (il proprio figlio). Il padre era il legame forte che gli garantiva un nome ed una memoria, il figlio era la vita che avrebbe assicurato la trasmissione di quanto avrebbe realizzato.
Siamo tutti Enea immaginari e chi tra noi non può più portare il proprio Anchise sulle spalle, desidererebbe volentieri poterlo fare. Ma per i bambini provenienti dal “caritatevole donatore di sperma” non ci sarà nessun Anchise, avranno solo il vuoto di una figura che non c’è per il semplice motivo che non c’è mai stata. Potranno realmente farne a meno? Attendiamo l’inventario dei danni fatti e sarà comunque già tardi per i 98 nuovi nati senza padre.