Spagna, luglio 1976. Il re Juan Carlos I conferisce l’incarico di formare il suo secondo governo a Adolfo Suárez. Di questo giovane politico si sapeva ben poco ma il suo passato al servizio di Franco preoccupava quanti speravano in una svolta radicale che allontanasse il paese dal lascito di una dittatura troppo lunga e, dall’altra parte, il suo carattere aperto e il suo spirito moderno facevano diffidare chi voleva rimanere fedele al franchismo. Suárez era, insomma, tanto sconosciuto quanto temuto.



Alla prova dei fatti però tutti i cattivi presagi si rivelarono errati mentre quelli buoni (che non mancarono) furono di gran lunga superati dai risultati.

Adolfo Suárez si rivelò un uomo di una statura umana e politica che nessuno si sarebbe immaginato e già nei primi anni del suo governo riuscì a dar corpo alla speranza – tanto desiderata quanto apparentemente inarrivabile – di riconciliare quella frattura che in quasi due secoli di ideologie era diventata talmente netta da essere significativamente denominata: «le due Spagne».



Ma il ricordo del presidente spagnolo recentemente scomparso (si è spento lo scorso 24 marzo) non ci porta certo a divagare nei meandri di una politica utopistica. I primi tempi del suo mandato furono decisamente duri: il giusto desiderio di cambiamento veniva allora spesso confuso con la reazione violenta di gruppi di estremisti e terroristi – amanti del regno della divisione – che continuavano – come veri e propri figli della menzogna – a sferrarsi colpi mortali dalle rive opposte di uno stesso fiume.

Che cosa ha permesso, allora, che accadesse il miracolo? La forza di uomini che credevano ancora fermamente di potersi fidare del cuore umano, del suo bisogno di bene, giustizia e verità. Consapevole del fatto che un uomo solo non crea la società, Suárez seppe cercare la compagnia di coloro che avevano il suo stesso orizzonte e che come lui attendevano «un domani aperto all’infinito» (come recita un verso di Machado che lui stesso citava). E non gli importava che nel suo gabinetto si incontrassero politici di fazioni diversissime perché era convinto che gli altri non fossero una minaccia bensì potenziali alleati nella battaglia per il bene comune. Per questo legalizzò i partiti politici che erano stati vietati durante il regime e preparò così il paese per le sue prime elezioni libere (1977). Sapendo poi che non c’è pace senza perdono, decretò un’amnistia per i prigionieri politici e i prigionieri di guerra e permise il ritorno degli esiliati. E ancora, fedele al consiglio evangelico di dare «a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», rielaborò la legge della libertà religiosa separando il governo dello stato dalla Chiesa che poté così godere di una sua identità propria. E, infine, lavoratore instancabile, creò un clima di fiducia e di reale convivenza sociale che permise l’elaborazione e l’approvazione della Costituzione del 1978 – tuttora in vigore in Spagna – che ha poi avuto il più alto grado di consenso nella storia del paese.



Ucraina, febbraio 2014. Pochi giorni dopo la fuga del presidente Janukovic, la sua destituzione da parte del parlamento ucraino e la convocazione di elezioni  anticipate a maggio, a Kiev si inaugura un Forum europeo che dichiara come suo obiettivo quello di dare una prospettiva a lungo termine – attraverso la conoscenza, il sostegno della società europea e in particolare quello degli intellettuali e di chi si occupa dei diritti dell’uomo – all’impegno della società civile ucraina per la democrazia. I fondatori e i responsabili istituzionali dell’iniziativa sono l’Università Nazionale Kiev-Mohyla di Kiev, la rivista La Règle du jeu, e il Movimento Antirazzista Europeo – EGAM. Il Forum vuole costruire una piattaforma interattiva dove possano incontrarsi intellettuali ucraini ed europei instaurando un dialogo costruttivo basato sullo scambio reciproco di esperienze e conoscenze e contemporaneamente si prefigge di organizzare nelle maggiori città ucraine una serie di conferenze con personalità europee del mondo della politica, cultura, arte, servizi sociali.

Nessuno si illude che questi non siano tempi duri, questa volta per l’Ucraina. E nuovi figli della menzogna continuano a impugnare le armi – quelle del linguaggio della propaganda così come quelle da fuoco – su entrambe le sponde del fiume (Mosca e Kiev) cercando di seminare la disperazione, di impedire di sperare in un futuro che appare incerto, come il presente. Ma nel mezzo delle divisioni, della paura e della diffidenza ci sono degli uomini che credono ancora nel cuore e che lottano senza sosta tra acque impetuose cercando di incanalare quel desiderio di giustizia, di verità e di bontà che rimane invincibilmente radicato nel cuore della gente.

È lo strano spettacolo di un popolo che, nonostante tutto, affonda le sue radici in qualcosa di più grande della politica, dell’ideologia o della semplice buona volontà. Sono uomini reali, convinti chegli altri non siano una minaccia ma un valore aggiunto e necessario al bene comune. Sono uomini che sanno che non c’è pace senza perdono e quindi non condannano i loro nemici, ma chiedendo la loro liberazione (come ben mostra la testimonianza del cosacco Michail Gavriljuk che ha ritirato l’accusa contro il poliziotto che lo aveva picchiato, denudato e deriso atrocemente lo scorso febbraio ). E sono uomini che credono ancora che la verità rende liberi, e per questo non hanno timore di presentarsi al mondo semplicemente – e quasi ingenuamente – per quello che sono (basti pensare che a una visita ufficiale a Parigi, da Hollande, una delegazione ucraina con tanto di candidati alle presidenziali annoverava nei suoi ranghi due volontarie del Majdan, Lisa e Lessia, che hanno candidamente testimoniato i loro tre e più mesi di servizio scardinando così di fatto la tesi – indistruttibile? – di quanti pensano che il Majdan sia stato organizzato e voluto da un gruppo di fascisti). 

Nel nostro mondo moderno – razionalista e malato di depressione e scetticismo (senza voler negare, ovviamente, come ogni particolare malattia ha le sue cause specifiche) – in cui ben pochi credono ancora che la politica sia al servizio del bene del popolo, ci sono ancora uomini, lavoratori instancabili, che sperano contro ogni speranza.

Aprile 2014. Il professor Konstantin Sigov – uno dei principali organizzatori del Forum Europeo – si recherà da Kiev a Madrid, dove incontrerà esponenti del mondo della cultura, della politica e della stampa e potrà raccontare della sua amata Ucraina. Il caso – o non sarebbe meglio dire il Desino? – lo conduce in Spagna nel momento in cui la società ucraina si è ribellata alla dittatura di un governo degradato e vuole rinascere e spera fortemente nella possibilità di un cambiamento. Ma questo è anche il momento in cui la società spagnola ricorda commossa la figura dell’uomo che ha reso possibile la miracolosa transizione pacifica dalla dittatura alla democrazia. Una coincidenza, forse, non del tutto casuale e che per chi non chiude gli occhi davanti alla realtà potrebbe anche essere un segno: c’è ancora qualcuno che ha il coraggio di sostenere la speranza degli uomini.