Il Papa non è tipo da Nobel

I nomi candidati al premio Nobel per la pace di quest'anno comprendono anche Vladimir Putin e Papa Francesco. Ma ha senso insignire un pontefice di questo premio? GIUSEPPE FRANGI

Il Papa candidato al Nobel per la pace. La ha annunciato ieri il direttore dell’istituto Nobel ad Oslo, Geir Lundestad, presentando la lista dei 278 nomi scelti dalle migliaia di persone abilitate a depositare candidature. Ovviamente la cosa ci sta tutta, anche solo per l’intervento che ha scongiurato un peggior massacro in Siria e che nel settembre scorso portò alla grande giornata di digiuno per la pace a cui hanno aderito milioni di persone. Francesco, con il suo stile understatement, non è tipo da proclami o da grandi visioni geopolitiche: è uomo con i piedi per terra, con un grande senso della realtà che lo porta ad avere molto più senso politico di quanto non dia a vedere. Detto questo, a Oslo a ritirare il premio proprio si fa fatica a immaginarlo. Anzi, la candidatura fa sorgere un sospetto, che proprio la lettura dell’intervista al Papa, pubblicata ieri dal Corriere, sembra suggerire. Ad una domanda riguardo alla sua immagine pubblica, Francesco ha risposto infatti così: «Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale».



Forse è un po’ arbitrario associare questo pensiero alla notizia del Nobel. Ma certo questo è un papa che sa come vanno le cose del mondo e le guarda sempre con molta scaltrezza e circospezione. È un papa capace di un rapporto del tutto inedito con i media: li affronta senza timore e con molta naturalezza, ma sa scansare tutte le enfatizzazioni. Non c’è domanda alla quale si sottragga, e anche a quelle che potrebbero scatenare dei casi, sa fornire risposte che lasciano gli interlocutori spiazzati. Ieri, quando Ferruccio De Bortoli gli ha chiesto perché avesse rinnovato il passaporto argentino, alludendo quindi a una sua “nostalgia” per la terra d’origine, il papa ha risposto in modo da lasciare disarmato il suo interlocutore: «L’ho rinnovato perché era scaduto». E quando la domanda ha posto il tema di una sua distanza dai temi che toccano l’Europa (De Bortoli: “Perché Santo Padre non parla mai di Europa?), la risposta non è stata meno spiazzante: « Lei ricorda il giorno in cui ho parlato dell’Asia?» E De Bortoli ammette, aprendo una parentesi nella risposta: «qui il cronista si avventura in qualche spiegazione raccogliendo vaghi ricordi per poi accorgersi di essere caduto in un simpatico trabocchetto».



La forza di Francesco è quella di saper disarmare i media, di sfilare sempre loro di mano ogni spunto per sollevare polveroni, sempre strumentali ad altro. E li disarma anche nei loro tentativi di idealizzazione o di mitizzazione. 

Certo, Bergoglio saprebbe benissimo gestire anche la situazione di un discorso da tenere ad Oslo, svuotando tutte le possibili iperboli attorno a questo riconoscimento. Ma la sua idiosincrasia per qualsiasi forma di mondanità è cosa ben nota e l’immagine della sedia lasciata vuota al concerto in suo onore in Aula Nervi nel giugno scorso, causa impegni più urgenti (doveva ricevere i nunzi arrivati da tutto il mondo), suona un po’ come un monito. 



Gli accademici di Oslo sono avvertiti…

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