Dov’è il nostro papà?

Per Cristo il dolore e la libertà degli uomini non è stata l'occasione di una recriminazione, ma la possibilità di un rapporto più vero con sé e con il Padre. E noi? FEDERICO PICHETTO

Qual è la più grande tentazione della nostra esistenza? Quella di voler vivere senza problemi, senza drammi, senza dolori. Il desiderio più grande che spesso abbiamo è infatti quello di non sentire la realtà, di non avvertire il bruciore della gioia e del dolore. Vogliamo semplicemente essere “lasciati in pace”. L’ideale borghese ha dato una forma a questo desiderio: divertirsi da giovani, guadagnare da adulti, costruire una casa, organizzare viaggi e fine settimana per poi, infine, godersi la pensione. Questa è la vita che il mondo ci chiede, una vita che non disturba e che il potere è pronto a concederci. 

Il problema, allora, è tutto ciò che impedisce questo divertimento: la responsabilità, il dolore e la libertà del mio prossimo. Dinnanzi a queste cose, al materializzarsi di questi fatti nella nostra esistenza, noi andiamo completamente in crisi e ci rivolgiamo alla vita, o da atei o da credenti, con una domanda: “Perché deve accadermi questo?”. La vita, in questo modo, diventa il progetto che abbiamo in mente e che il potere promuove, mentre le circostanze, le cose che accadono, diventano gli ostacoli, i “contrattempi”, i problemi. L’uomo moderno è un uomo che detesta i fatti, un uomo che ha sostituito la domanda sul “perché sono al mondo” con la pretesa che il mondo si pieghi ai suoi progetti e ai suoi capricci. 

Oggi la Chiesa celebra il Venerdì Santo. In questo giorno Cristo nel Getsemani non piange per i “suoi problemi”, ma per l’urgenza che la Sua umanità avverte di trovare un senso alla propria sofferenza dentro il rapporto col Padre. Per Cristo il dolore, la responsabilità e la libertà degli uomini non sono stati l’occasione di una protesta o di una recriminazione, ma la possibilità di un rapporto più vero con sé e con il Padre. 

La vita ci è data per prendere più consapevolezza di noi stessi e di ciò per cui, ultimamente, siamo al mondo. La vita non è l’insieme delle nostre scelte, ma delle nostre scoperte. Ogni volta che lasciamo entrare nel nostro cuore tutto l’urto del reale, fino alle lacrime – fino a esserne smossi e commossi -, avviene dentro di noi il miracolo della consapevolezza, quel miracolo per cui la nostra vita smette di essere il tentativo testardo di perseguire una felicità che abbiamo in testa noi (come singoli o come comunità) per diventare una domanda aperta, appassionata e curiosa, al presente affinché si manifesti – nel presente – quell’Amore che il nostro cuore attende e che Qualcuno un giorno ci ha semplicemente promesso. 

La nostra vita è fatta per questo Amore e chiede questo Amore. Il fatto è che ce ne rendiamo conto sempre troppo tardi, quando ci troviamo nell’orto degli Ulivi, perdendo così ore, giorni, mesi e anni a combattere per le nostre vittorie fatte di successo, di denaro e di piacere. Dimenticandoci quel bisogno tormentato e mai sazio che custodiamo fin da piccoli e che attraversa tutta la nostra storia, il bisogno infinitamente fragile di sapere dove sia il nostro papà.

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