C’è un silenzio che copre la terra oggi, un silenzio sconcertante. Come è sconcertante entrare in una chiesa venerdì santo o sabato santo e notare che il tabernacolo sta aperto e vuoto. “Come è possibile? Dov’è andato? Che facciamo ora senza di lui?”.
Ricordo bene come da bambino, anche se non eravamo una famiglia molto praticante, la mamma ci faceva tutti fare silenzio per tre ore fra mezzogiorno e le tre il venerdì santo. Ricordo bene come il senso di mistero, non sempre confortante, si faceva sentire in quelle ore, a momenti con una forza insostenibile. Guardavo in su lungo i tronchi altissimi degli alberi giganti sotto cui si nascondeva la nostra piccola casetta, cercando di arrivare a fissare anche un pezzo di cielo, e mi sentivo sommerso in una misteriosa e sconcertante mancanza. “Il Signore è morto, se n’è andato”.
In questo silenzio emergono due prospettive che si combattono per avere supremazia: “Tornerà quella presenza che mi parlava, carica di promessa!” o “Sono abbandonato!”. Qualunque presenza positiva nella nostra vita è positiva perché in qualche modo ci promette dei beni che ci fanno gioire. Però davanti alle delusioni, all’apparente contraddizione delle promesse fatte, ci sentiamo traditi. Rimaniamo delusi per via di avvenimenti che non si sono mai realizzati, o per via di avvenimenti che non ci hanno portato quello che speravamo, o avvenimenti che addirittura ci hanno tolto dei beni preziosi – salute, rapporti, sicurezza, stima, prospettive ambite. C’è un silenzio che segue queste delusioni, un disorientamento, in cui non capiamo più niente. Non vediamo e non sentiamo chiaramente nulla. Stiamo in una solitudine profonda, come se le corde che ci legano alla realtà si fossero spezzate.
Il silenzio del sabato santo ci offre la possibilità di condividere gli sconcertati animi dei discepoli e di leggere meglio la nostra realtà piena di minacce che ci rubano la tranquillità.
Con l’eccezione di san Giovanni, i discepoli erano tutti fuggiti non solo perché avevano paura che la violenza arrivasse a prendere anche loro sotto la sua zampata dilaniante, ma anche perché non sopportavano la delusione, la contraddizione enorme che la morte di Gesù rappresentava. Egli si era manifestato loro come sempre buono e potente. Nessuno riusciva ad aver la meglio su di lui nelle discussioni coi farisei, nessun demone riusciva a resistere al suo comando, gli elementi stessi della natura obbedivano alla sua parola ed egli richiamava alla vita chi era già nella tomba. La sua presenza prometteva per loro la vittoria certa sul male e il ristabilimento del regno di Davide. E poi si era lasciato prendere, accusare, torturare e uccidere così, senza neanche opporsi! C’è mai stata una delusione più grande? E c’è mai stato un silenzio così gravido di quello del sabato santo, di quel sabato?
Poi però hanno fatto una cosa sorprendente, piena di grazia. Si sono cercati. Invece di seguire la tentazione di allontanarsi da tutto quello che suscitava il ricordo di questa delusione e la loro mancanza di coraggio, si sono messi insieme chiudendosi nella stanza per paura. Solo pian piano riuscivano a guardarsi in faccia, ma ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, si comunicava una cosa condivisa più grande della paura: “Non può finire così!”. La promessa era troppo vera, troppo verificata. E i loro volti facevano tornare una rinascita di certezza in ognuno: “Non so come, ma in qualche modo, questa storia con Lui non è finita!”. Stare insieme faceva tornare una curiosità e la prima scintilla di una muta speranza. Le ore di quel sabato non finivano mai. Nessuno parlava. Ma la presenza stessa di quei volti faceva sì che si potesse domandare, da uomini: “Cosa farà il nostro buon Dio, adesso?”.
Che il nostro stare insieme nel silenzio di questo giorno ci faccia alzare lo sguardo, con la curiosità di capire che cosa grande farà il nostro Dio, Padre del Signore Gesù, per portare a compimento la buona opera iniziata in mezzo a noi.