Pasqua, un problema di cuore

Pubblichiamo l'omelia di mons. MASSIMO CAMISASCA nella celebrazione della messa pasquale a Pieve di Guastalla: l'annuncio della resurrezione di Gesù che vince la morte e la sofferenza 

Gesù è risorto! La morte e la sofferenza non sono l’ultima parola della nostra vita. Le difficoltà che attraversiamo, le malattie, le incomprensioni in famiglia, al lavoro, nei nostri rapporti, non sono la nostra tomba. Ma come entrare in questa luce che ci permette di guardare a noi stessi e al mondo intero con occhi nuovi, pieni di speranza e di pace? La Pasqua è sempre una pietra del sepolcro che si spacca. È sempre un passaggio a una misura più grande, più vera.

Occorre dunque innanzitutto lasciarci cambiare il cuore da Gesù, lasciare che egli rompa la pietra dei nostri sepolcri. I sepolcri delle nostre abitudini, delle nostre false certezze, di ciò che ci fa sentire a posto, che ci impedisce di aprirci alla novità che egli vuole portare dentro la nostra vita. Tutto ciò avviene nella preghiera, soprattutto attraverso i sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia, ma anche attraverso la comunità della Chiesa, in particolare dei santi che, prima di noi e con noi, hanno desiderato e desiderano entrare nella vita nuova che la resurrezione di Gesù inaugura. Ma, assieme a tutto questo, c’è anche un’altra strada per iniziare a comprendere e a godere di questa vita. È quella che ci viene insegnata dai vangeli del tempo di Pasqua. Anche dopo ripetute apparizioni di Gesù, anche dopo aver addirittura mangiato con il Risorto, i discepoli non comprendono ancora quanto è accaduto. Sono sorpresi, sono pieni di gioia nel vedere il maestro, ma le loro vite non sono state ancora investite in profondità dall’esperienza della resurrezione. È solo il dono dello Spirito Santo che apre le loro esistenze e le fa uscire finalmente dai sepolcri.

È nel momento in cui iniziano a comunicare al mondo ciò di cui sono stati testimoni che cominciano anche a comprenderne la realtà. È questa una grande verità, che riguarda tutti gli uomini e non solo i cristiani.

Diventa veramente nostro ciò che comunichiamo agli altri. Alla fine della sua esistenza terrena, Cristo, dopo aver parlato delle sue sofferenze e della resurrezione, chiede ai suoi di predicare la conversione a tutti i popoli del mondo e conclude: voi siete testimoni di queste cose (cfr. Lc 24,48), aggiungendo: io mando la promessa del Padre mio su di voi (cfr. Lc 24,49), cioè lo Spirito Santo. La missione del cristiano è tutta qui: testimonianza a Cristo.

La radicalità di questa parola è stata compresa molto bene dagli apostoli, soprattutto da Pietro. Negli Atti egli parla continuamente della testimonianza da rendere a Gesù. Quando decide di sostituire Giuda, afferma che è necessario scegliere uno che sia stato testimone della resurrezione (cfr. At 1,22). È questo il criterio. Gesù, Dio lo ha resuscitato dai morti e noi tutti ne siamo testimoni (At 2,32).

Noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare. Il testimone, dunque, è innanzitutto colui che ha visto e ha udito (cfr. anche Mt 13,17; Lc 10,24; 1Gv 1,3), cioè che ha preso parte all’avvenimento dell’Incarnazione. Ma come è possibile per noi oggi testimoniare Cristo? La prima testimonianza avviene con la luminosità della nostra esistenza. In famiglia, al lavoro, nei nostri rapporti. Non si tratta di essere uomini perfetti, né esenti da limiti o peccati, ma trasparenti di quella misericordia di Dio che ci ha raccolti e che si è manifestata in Gesù.

Certamente la testimonianza avviene anche attraverso la parola. Anzi, la tradizione ebraico-cristiana ha visto proprio nella parola profetica una delle espressioni più elevate della testimonianza: Gesù è il profeta del Padre, proferisce le sue parole (cfr. Gv 14,10). Così anche per noi: siamo chiamati a dire non le nostre parole, ma quelle che impariamo ogni giorno dalla bocca di Gesù e della Chiesa. Vertice della testimonianza è la carità. In essa appare con chiarezza la ragione per cui Gesù è venuto nel mondo e ha donato se stesso sulla croce: fare di tutti noi un popolo solo (cfr. Gv 17,11.21.22; Ef 2,14).

Nelle piccole e grandi comunità che costituiscono la Chiesa appare in modo chiaro, anche se talvolta velato dalle nostre fragilità, il dono della comunione che è, infine, la strada e il frutto fondamentale della testimonianza. Auguro a tutti di entrare in questo dinamismo pasquale che rende piena e avvincente la vita.

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