Nel recente passato non c’è stata festa come il 25 aprile che abbia saputo dividere ed esacerbare gli animi degli italiani.
Per tutta la durata della cosiddetta “seconda Repubblica” si è preteso di brandire la storia della Resistenza come un’arma capace di dividere – nel presente – i buoni dai cattivi. Alla radice di tutto questo c’è la tentazione, presente in ognuno di noi, di definire nel più breve tempo possibile le cose che abbiamo davanti e che ci accadono.
Nei licei questo si verifica in maniera lampante con gli studenti di latino e di greco: quando producono una traduzione la loro fretta di definire le parole li porta a non cogliere tutte le sfumature sintattiche e morfologiche di una frase, finendo per compiere spesso grossolani errori che travisano il senso e la correttezza formale della versione.
Questo processo, per quanto possa apparire strano, ce lo portiamo dietro tutta la vita ed è una delle cifre del nostro tempo: la fretta di definire le situazioni, le cose e le persone ci espone a travisare la realtà, a ridurla al nostro preconcetto e a trattarla secondo la nostra convenienza. Così facendo ci priviamo della possibilità concreta dell’imprevisto, del “nuovo” che ci interpella e ci mette in discussione. Questo, in definitiva, accade perché è molto più facile vivere di giudizi che di processi. La realtà, in effetti, non ci si presenta mai come finita e compiuta, ma sempre in divenire, al punto che le cose e le persone che incontriamo non possono essere ridotte a definizioni, ma devono – sempre – essere comprese e conosciute in una relazione.
La realtà ci è data, ma questo suo darsi non è compiuto e definitivo: è per instaurare con noi – ora – un legame. Noi viviamo moralmente non quando definiamo la vita, ma quando stiamo in relazione con i volti e le cose che la costituiscono. Per questo ogni persona è un cantiere aperto, non riducibile ad un episodio, ad un aggettivo o ad un fattore – benché preminente -, ma identificabile con una storia dentro la quale fattori e comportamenti assumono un loro significato. Ogni uomo, in questo senso, diventa una magnifica avventura e in ogni uomo noi possiamo trovare un “oltre” che solo il tempo ci potrà realmente permettere di afferrare. Pretendere di definire “amore” l’attrazione per una compagna di banco o per il fornaio è paragonabile alla fretta con la quale classifichiamo il valore di un individuo a seconda di una singola chiacchierata o di un suo preciso comportamento: tutto ci porta ad agire senza lasciare alla vita, a Dio, lo spazio di parlarci, di chiederci, di sfidarci.
Non c’è niente che il nostro cuore sappia di più del fatto che l’uomo è un Mistero e che la fretta, nel latino come nelle relazioni, ci porta solo a vivere di grandi azzardi. Si tratta degli stessi azzardi che coloro che pomposamente celebrano la Resistenza compiono ogni qual volta liquidano la storia in maniera sbrigativa o manichea, semplificando tutto a “buoni o cattivi” e impedendo alle nuove generazioni di incontrare davvero la realtà, il male e la possibilità – molto concreta – che ogni uomo possa ripetere gli orrori dei propri antenati.
L’uomo non è un essere semplice, lineare, facilmente definibile o manipolabile: l’uomo è un’opera di Dio in cui convivono insieme “Grazia e Libertà” intrecciandosi in un modo che, quotidianamente, ci sorprende e ci sfida. Pensate che cosa vorrebbe dire guardare all’altro, ogni giorno, con l’umiltà di non sapere chi egli sia. Pensate che cosa sarebbe un matrimonio, un’amicizia, una fraternità che gioca tutto su questo: in poco tempo ogni cosa, ogni fatto, diventerebbe un continuo avvenimento.
È questa la possibilità concreta che la fede introduce nella vita: l’ipotesi che ogni parola e ogni gesto in cui ci imbattiamo sia un cenno dell’Infinito, una Parola di Dio, qualcosa di cui non avere paura, ma da guardare e vivere con libertà nella certezza che non c’è niente che – nella vita – rimanga piccolo o inutile. È questo il 25 aprile di cui abbiamo bisogno, la Liberazione dai Nazisti che occupano il nostro cuore e che minacciano, con la loro ideologia, di inaridire tutto. Perfino il gusto del vivere.