Un’immensa grazia avvolge Roma e il mondo intero nella prima domenica dopo la Pasqua che Giovanni Paolo II ha intitolato alla Divina Misericordia. Campeggiano sulla facciata della Basilica di San Pietro i ritratti dei due Papi che vengono proclamati santi, indicati come modelli di una umanità da imitare, uomini che hanno vissuto fino in fondo il loro rapporto con Dio e l’imitazione di Cristo, uomini appassionati al destino del mondo, uomini che hanno rinnovato la Chiesa: Giovanni XXIII con la felice intuizione di indire il Concilio Ecumenico Vaticano II e Giovanni Paolo II che l’ha attuato in un pontificato di 27 anni, febbrilmente missionario. Uomini come noi, cresciuti in povere famiglie, gli zoccoli ai piedi da ragazzi, poi chiamati ad essere Papi, cioè la roccia su cui Cristo nei secoli edifica la sua Chiesa.

Il mio pensiero corre alla notte del 12 aprile 1980 quando con un gruppo di giovani studenti universitari di Cl si lavorava a creare una scritta in stoffa che il giorno dopo avremmo appeso davanti alla cattedrale di Torino: totus tuus, il motto di Giovanni Paolo II e il nostro motto “tutti tuoi”. Il Papa veniva a visitare per la prima volta Torino e per la prima volta una città italiana. Prima ancora lo seguimmo durante il suo primo pellegrinaggio in Polonia nel giugno del 1979; laggiù nacque l’incontro con un seminarista di Bialjstok che poi avrebbe dato vita a Cl nella sua diocesi. Per 27 anni Giovanni Paolo II ha intrecciato la vita di milioni di persone; per tutti il suo pontificato, le sue parole, i suoi gesti, gli incontri personali e con le folle sterminate sono diventati sicuro punto di riferimento.

Il “Papa buono” aveva scelto come motto della sua vita “obbedienza e pace”. Il 28 ottobre 1958, a 77 anni, quando pensava ormai al tramonto della sua vita, Angelo Giuseppe Roncalli, patriarca di Venezia, viene eletto a succedere a Pio XII, un’impresa che sembrava superiore alle deboli forze di un uomo. Un anno dopo, il 29 gennaio 1959, in una saletta del convento benedettino di San Paolo fuori le mura annunciava un evento destinato ad incidere per sempre nella storia. Disse ai cardinali: “Pronunciamo dinnanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta di un Concilio Ecumenico per la Chiesa universale”.

Era la volontà di Dio. Con la stessa pacata risolutezza l’11 febbraio 2013 Benedetto XVI lasciava il timone della barca di Pietro, in obbedienza a Dio. Giovanni Paolo II guidò la barca di Pietro fino a non potere più né muovere, né parlare fino al 2 aprile 2005, vigilia della festa della Divina Misericordia. E tutto ciò in obbedienza a Dio. 

Basta accostare questi tre avvenimenti per capire qual è la missione di un Papa nella Chiesa. A noi basta un nulla per farci entrare in crisi. Questi uomini hanno creduto, hanno testimoniato, hanno fermato il pericolo di una guerra atomica perché si lasciavano guidare da un Altro, erano totalmente affidati.

Leggendo in questi giorni le loro biografie, si rimane sbalorditi dalla fede di questi uomini e dall’incidenza che hanno avuto nella storia. Il piccolo orfano Lolek, diventato operaio, ogni mattina passava davanti al convento di Lagiewniki dove viveva suor Faustina Kovalska che aveva quotidiane visite di Gesù. Wojtyla si recava a lavorare in una fabbrica chimica. Era il 1938 e mai avrebbe pensato di elevare poi agli onori degli altari quella piccola suora che riceveva da Gesù messaggi riportati poi nel suo Diario. Gesù scelse quella umile suora per rispondere alle incredibili proporzioni assunte dal male nel XX secolo: gli orrori del nazismo, le indescrivibili sofferenze del popolo polacco durante l’occupazione nazista e comunista. “Il messaggio della Divina Misericordia mi è stato sempre caro e vicino; è come se la storia lo avesse iscritto nella tragica esperienza della seconda guerra mondiale. In quegli anni difficili esso fu un particolare sostegno e una fonte di inesauribile speranza, non soltanto per gli abitanti di Cracovia ma per l’intera nazione polacca. Questa è stata anche la mia esperienza personale che ho portato con me sulla sedia di Pietro”. Giovanni Paolo II dedicò la sua seconda enciclica alla Misericordia Divina e il 30 aprile del 2000 proclamò santa suor Faustina.

Ritorniamo ad altre parole di Misericordia: quelle pronunciate da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962, giorno di inizio del Concilio. Affacciandosi alla finestra e vedendo la folla che gremiva piazza San Pietro disse quelle parole indimenticabili: “Cari figlioli, sento le vostre voci! La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero… si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… (osservatela in alto!) a guardare questo spettacolo! Chiudiamo una grande giornata di pace… la mia persona non conta niente: è un fratello che parla a voi; diventato padre per volontà di nostro Signore… continuiamo a volerci bene così! Tornando a casa troverete i bambini: date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa”.

Il 22 ottobre 1978, davanti ad un’immensa folla che la piazza non riusciva a contenere, Giovanni Paolo II disse: “Non abbiate paura di accogliere Cristo, non abbiate paura”! gridò con voce vibrante. Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo”! Da dove veniva una fede così decisa e coraggiosa?

Le autorità comuniste ben conoscevano il coraggio del cardinale Karol Wojtyla: era il 1976. In quell’anno alla festa del Corpus Domini esse proibirono che la tradizionale processione si svolgesse per le strade della città di Cracovia. Fissarono esse stesse un percorso brevissimo in alcune vie secondarie. Davanti ad una folla eccezionale, il cardinale Wojtyla disse: “Vogliono farci dimenticare Dio. Lo sradicano dai giornali, dai libri, dai programmi della vita pubblica. Pochi giorni fa, un ragazzo, alunno della scuola professionale, portava al collo una piccola croce. Gli chiesero di toglierla. Il ragazzo rispose con un netto rifiuto. Lo hanno cacciato. Hanno convocato sua madre e le hanno spiegato che il comportamento del figlio era una provocazione. Quella donna ha risposto: “Io sono fiera di mio figlio”. Tanti anni fa episodi come questi venivano scritti dalla Chiesa nei libri dei Martiri, perché martire vuol dire testimone, uno che con il suo comportamento fa vedere ciò che crede. Oggi dobbiamo scrivere il libro dei martiri moderni… mi rimproverano sovente di parlare di queste cose. E come potrei tacere? Ogni fatto di questo genere, si tratti di un ragazzo, di una madre, di un professore di università o di uno studente, è la nostra causa comune. E io come vescovo devo essere il primo servitore di questa causa dell’uomo. Perché battersi per la libertà delle coscienze è battersi per l’uomo”.

Ricordo quando sono entrato nella cappella dell’arcivescovado di Cracovia dove il cardinale Wojtyla celebrava la messa alle 6,30 e, dopo la colazione, là su un piccolo tavolo da lavoro accanto all’altare, scriveva e pregava fino alle 11 del mattino. La preghiera era il suo respiro. Di qui nascevano le parole pronunciate con fermezza durante i nove pellegrinaggi nella sua patria. “Non si può escludere Cristo dalla storia dell’uomo, in qualunque parte del globo… senza Cristo è impossibile capire questa nazione dal passato così splendido e insieme così terribilmente difficile”.

Il 13 maggio 1981 alle ore 17,17 Mehmet Alì Agca, killer professionista, spara al Papa. Alle 18 il Papa è in sala operatoria al policlinico Gemelli. Qualche anno più tardi il Papa dirà con decisa convinzione: “Una mano assassina ha sparato per uccidere, ma una mano materna ha guidato la traiettoria del proiettile e ha fermato il Papa sulla soglia della morte. Dal giorno dell’attentato, ogni giorno è regalato e io debbo viverlo totalmente per Gesù aggrappato alla mano di Maria”. Questi sono i pochi accenni che parlano di una vita impegnata fino all’ultima briciola per realizzare una missione affidata da Cristo e che Giovanni Paolo II concluse con una supplica alle 21,37 del 2 aprile dell’anno 2005: “Lasciatemi andare al Signore”!