Domenica in Piazza San Pietro è stato ratificato quello che il popolo sapeva da tempo: che quei due uomini, il figlio di contadini lombardi e il figlio della grande nazione polacca, erano tra i migliori che siano stati al mondo negli ultimi decenni. E che continuano a stare con noi e a cui è possibile domandare delle cose.

La gente, il popolo, sapeva che Giovanni XXII e Giovanni Paolo II non erano solamente due uomini buoni. Perché di uomini buoni, alla fine, se ne possono trovare: se ci metti impegno ci puoi riuscire. I due Giovanni erano, sono, qualcosa di più: sono due uomini contenti – difficili, questi, da trovare. Erano due uomini allegri, erano due cristiani. Due cristiani che rimisero il cristianesimo al centro della storia.

Quando Roncalli arrivò al soglio di Pietro era difficile capire quel che stava accadendo. A metà del secolo scorso non c’erano ostilità aperte, almeno formalmente, ma il cristianesimo si era trasformato in un pezzo da museo. Tutto divenne più chiaro negli anni seguenti. Si parlava ancora di cattolicesimo, ma alla fede, dopo l’alleanza del dopoguerra, era stato assegnato un ruolo marginale. Del Noce lo spiegava bene: “Che cosa si chiede ai cattolici, oggi, da qualsiasi parte, se non la riduzione del cristianesimo a una morale […] capace di […] fondare una società giusta?”. I valori cristiani contro il cristianesimo.

Inoltre, nella Chiesa c’era una specie di rabbia perché l’uomo si era fatto moderno, perché spesso parlava del suo desiderio personale di soddisfazione e di libertà, perché questo desiderio lo aveva portato allo sfacelo delle ideologie totalitarie. Era chiaramente in parte colpevole, ma anche vittima. Da tempo alcuni (Balthasar, de Lubac, Danielou) avevano scoperto che tutta questa spinta moderna non era altro che un invito a riscoprire le autentiche radici della tradizione cattolica. Ma costoro erano pochi e lontani da Roma.

Finché il Papa decise che occorreva abbattere le mura, che non c’erano frontiere, che il posto della Chiesa è di tutti. Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II e tra i padri conciliari c’era anche l’uomo moderno, quello che desiderava la liberazione, che aveva subito due grandi totalitarismi, che non era disposto a rinunciare alla bellezza perché sapeva che la verità senza estetica è come il pane raffermo: un uomo che anni dopo succedette a papa Giovanni.

Quando Karol divenne il secondo Giovanni, il formalismo degli anni ‘50 e ‘60 era già scomparso: il cristianesimo dei valori era diventato una caricatura e non meritava nemmeno il rispetto che viene dato alle reliquie. Come ha fatto Giovanni Paolo II ha cambiare le cose e far sì che il cristianesimo tornasse a contare? C’è chi parla delle sue alleanze politiche, della sua capacità mediatica, della sua intelligenza strategica. Sciocchezze.  

Il Papa che è venuto dall’altra parte della Cortina di ferro ha detto e ha fatto molte cose nel suo lungo pontificato. Ma ora sta diventando chiaro che tutte queste in realtà spiegano la frase che pronunciò a San Pietro nel 1978, dopo essere stato eletto, e che successivamente ha sviluppato nella Redemptor hominis: non abbiate paura, aprite le porte a Cristo! Egli è Colui che può rispondere al nostro desiderio di liberazione. Non abbiate paura moderni, io sono uno di voi, io che percorro le vostre strade e sono contento perché ho incontrato il vero Amore.

Ma anche questo non sarebbe stato sufficiente. Era necessario che il secondo Giovanni, come il primo, fosse un autentico cristiano, che nella sua persona contenuto e metodo coincidessero. Il secondo Giovanni aprì le porte del mondo al cristianesimo perché lui stesso aveva aperto la propria persona a Cristo. Perché in lui si poteva riconoscere un uomo allegro. Questo lo ha reso testimone. Per essere testimone non basta essere buoni, bisogna essere contenti (è la prova che la verità ha smesso di essere una teoria). Nessun piano pastorale, nessuna strategia, nessuna alleanza politica avrebbero permesso il cambiamento propiziato dai due Giovanni.