Gesù disse: “L’Aquila vieni fuori!” e L’Aquila uscì dal sepolcro (dal Vangelo di ieri). Don Luigi Maria Epicoco, giovane parroco aquilano, ha cominciato così ieri mattina la sua omelia. L’Aquila come Lazzaro. L’Aquila che ha appena vissuto la notte tra il 5 e il 6 aprile. Cinque anni da quel tragico terremoto che costò la vita a 309 persone, in gran parte giovani.
L’Aquila malata come Lazzaro, L’Aquila che può resuscitare. Lo può fare grazie alla volontà di chi ci mette un impegno quotidiano, che si impegna al di là dei proclami. Difficile dire cosa avremmo immaginato cinque anni fa pensando ad oggi. Impossibile immaginare una città già ricostruita, pensabile immaginare che la visione dell’Aquila sarebbe stata differente, sicuramente migliore, di quella che si prospetta davanti ai nostri occhi. Ma L’Aquila malata, così come Lazzaro, e don Luigi lo ha fatto capire chiaramente, non è solo quella dei palazzi, delle macerie, della distruzione. L’Aquila malata che ha la capacità di resuscitare è anche quella che vive dentro ciascun aquilano. Vedere per credere, con la certezza di una salvezza sempre presente.
È stata la notte dei ricordi, la notte del dolore. Il lungo fiume di persone con il volto illuminato da una fiaccola, diretto verso piazza Duomo, per ascoltare in silenzio i rintocchi delle campane, 309, ognuno accompagnato dal nome di una persona che non c’è più. Un appuntamento che è giusto rivivere, ma che non deve essere l’unico, in 365 giorni, a far ricordare all’Italia intera che l’Aquila esiste, che deve uscire dal suo sepolcro, così come Lazzaro. La situazione politica instabile degli ultimi anni, che ha visto alternarsi quattro presidenti del Consiglio da Berlusconi a Renzi, passando per Monti e Letta. La mancanza di un punto di riferimento fisso tra la città e il Governo non ha certo giovato. A questo basta aggiungere la burocrazia, la difficoltà a reperire fondi, qualche promessa non mantenuta per fotografare la situazione di difficoltà che quotidianamente si vive.
Eppure i cantieri prolificano, gli operai lavorano. Jemo ‘nnanzi è diventata la nuova parola d’ordine, adottata anche da Papa Francesco che l’ha ripetuta lui stesso, salutando i cittadini aquilani che erano andati a Roma in udienza mercoledì 2 aprile, in prossimità dell’anniversario del terremoto. Andare avanti avendo la capacità di guardare dietro le spalle quanto accaduto, imparando dagli errori commessi e correggendosi. Un percorso impegnativo e difficile, dove lo scoraggiamento rischia di prevaricare i buoni propositi. Ma in fondo così è la vita. Finché qualcuno non ti dice “Alzati e cammina”.
Per L’Aquila e gli aquilani, come dopo ogni avversario, si volta pagina e si comincia un nuovo cammino. Che si spera sia sul sentiero definitivo, quello che conduce verso una città nuova. Eppure non è così, il silenzio dei media tornerà sovrano dopo lo spegnimento dei riflettori. Rimarranno gli aquilani, giovani e vecchi, con le loro maniche rimboccate, a lavorare giorno dopo giorno per riconquistare una dignità di città, per fare rivivere una comunità spesso sgretolata.
Con una certezza in più. Quella ribadita da don Luigi: Gesù disse: “L’Aquila vieni fuori!” e L’Aquila uscì dal sepolcro. Basterebbe solo ascoltarlo…