Havel, Benson e le elezioni europee

La campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo sta scivolando via in sordina, ma la recente pubblicazione di alcuni testi offre l’opportunità fare un affondo. PIGI COLOGNESI

Rimpicciolita a test di politica nostrana sotto mentite spoglie, attraversata da più o meno motivate correnti euroscettiche e dalla percezione che la posta in gioco è un potere troppo lontano, la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo sta scivolando via in sordina. Per fortunata coincidenza, la recente pubblicazione di alcuni testi ci offre l’opportunità fare, invece, un affondo. Il primo è una conferenza che Vaclav Havel avrebbe dovuto tenere a Tolosa nel 1984 (La politica dell’uomo, Castelvechi).

L’allora dissidente e futuro presidente della Cecoslovacchia post sovietica, individua con lucidità il tarlo del potere moderno: «La ragione umana comincia a “liberarsi” dall’uomo in quanto tale, dalla sua esperienza personale, dalla coscienza personale e dalla responsabilità personale». Di questo potere «anonimo e spersonalizzato», ridotto «a mera tecnologia di regole e manipolazioni» l’emblema assoluto è il «burocrate, un funzionario di professione che occupa un’intersezione spersonalizzata di relazioni funzionali»; la parola «burocrate» è una delle più ricorrenti quando si discute di Europa. Non si considera più – scrive l’autore de Il potere dei senza potere – la persona concreta, ma il quantificabile individuo che una scienza presuntamente oggettiva riesce a rinchiudere nei suoi calcoli. Come mai la ragione moderna ha fatto così? Perché ha voluto abbattere «il mondo che conosce la linea di demarcazione tra ciò che è propriamente oggetto del nostro interesse e ciò che si trova oltre il suo orizzonte, di fronte al quale dovremmo inchinarci con umiltà, in virtù del mistero che lo circonda». Il secondo testo verrà offerto ai lettori del Corriere della Sera giovedì prossimo nella collana «La biblioteca di papa Francesco». Si tratta del celebre Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson. Scritto oltre un secolo fa, mostra oggi tutta la sua lungimiranza.

L’uomo del titolo, Giuliano Felsemburg, impone al mondo la nuova religione «umanitaria», dove ogni desiderio è un diritto, ogni verità è relativa e ogni diversità omologata. Religione in cui la violenza è abolita.

Tranne in un caso: nei confronti degli irriducibili cristiani che si ostinano nella fedeltà al proprio credo la violenza è ammessa ed anzi necessaria. Non c’è bisogno di star qui a dimostrare la pertinenza all’oggi – e anche all’oggi di tante delibere «europee» – di tale inquietante visione. Da ultimo – visto che non si può discutere d’Europa senza considerarne quella parte «altra» che sta ad Est, quel «secondo polmone» di cui parlava Giovanni Paolo II – vorrei ricordare il fascicolo numero 1/2014 della rivista La Nuova Europa (appunto), quasi interamente dedicato alle prime settimane della «rivoluzione» in Ucraina. 

Il dossier è molto ricco e – benché gli avvenimenti successivi abbiano fatto evolvere di molto la situazione geopolitica – decisamente istruttivo per chi voglia capire una possibile direzione positiva per il nostro continente e il ruolo, in essa, dei cristiani. Mi soffermo soltanto sulla foto riportata alle pagine 24-25. I manifestanti avevano accerchiato e disarmato un gruppo della polizia speciale, quella che li stava massacrando. In decine di altre occasioni l’episodio è finito col linciaggio dei militari. Qui invece vediamo un sacerdote greco cattolico che conduce in salvo, tenendolo per mano, un robusto militare spaventato, con gli occhi bassi, evidentemente timoroso che il linciaggio possa scatenarsi da un momento all’altro. Ma sono gli stessi dimostranti che formano un cordone protettivo per evitare gesti inconsulti di teste calde.

È una novità assoluta: il rifiuto della vendetta, il baluginare del perdono. Il «nuovo inizio» di cui l’Europa ha bisogno qui si vede.

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