In questi giorni il normale dibattitto elettorale alza i toni raggiugendo vette di sconsiderata irresponsabilità: è il momento in cui le rappresentanze politiche si giocano il tutto per tutto e fanno il massimo per differenziarsi l’una dall’altra, anche ricorrendo in qualche caso al discredito fangoso dell’avversario. A ciò si unisce l’oramai permanente attività giudiziaria che aggiunge al conflitto asprezze e veleni inediti.
Il soppalco mediatico, pronto a raccogliere ogni amenità dei discorsi ufficiali ed a riprodurre in modo immediato e solerte ogni intercettazione telefonica, provvede a diffondere tanto i primi quanto le seconde con la massima amplificazione possibile. Per quanto un simile scenario non sia affatto nuovo nella storia nazionale, vi si stanno manifestando due significativi elementi di novità.
Il primo è interno e risiede nella capacità per una tale amplificazione di essere raccolta da una quota consistente della popolazione, alimentando ancora di più un clima di complessivo discredito e – per alcuni, come il leader del Movimento 5 Stelle – da vero e proprio “finale di partita”. Il secondo elemento di novità è invece europeo e risiede nella fibrillazione che sta caratterizzando i paesi dell’Unione, dove sul piatto della bilancia ci sono sia le politiche di austerità sia i problemi dell’accoglienza e dell’integrazione.
Colpisce come siano scivolati in secondo piano i problemi della spesa pubblica e delle politiche di rilancio, come se questi non avessero scosso oltremodo il quadro istituzionale, costringendo ad un periodo di sostanziale e necessaria coalizione tra le forze politiche. Lo scontro sulla politica europea, assieme alla degenerazione del dibattito elettorale, sommati alle oramai strutturali emergenze giudiziarie, finiscono con l’occupare il proscenio del dibattito politico, lasciando pericolosamente in disparte quelle stesse politiche di contenimento della spesa e di recupero delle risorse sulle quali tanto i governi quanto il Paese si sono spesi negli ultimi tre anni. Ci si deve chiedere quanto la nostra società possa realmente permettersi una tale vistosa diversione.
Può l’Italia del 2014, con oltre due milioni di giovani che hanno rinunciato a cercarsi un posto di lavoro e decine di migliaia che prendono le strade della nuova emigrazione, permettersi un tale livello di confusione? Può un paese che conosce una nuova forma di morte sul lavoro, quella del suicidio degli imprenditori e dove accanto ai giovani sono proprio questi ad emigrare oltre frontiera investendo altrove, concedersi un tale livello di oscillazioni nelle analisi politiche? Può l’Italia dei cantieri chiusi, delle opere mai ultimate, dei gioielli culturali in rovina, degli ospedali in perenne emergenza e delle ferrovie dei pendolari al collasso, permettersi una tale messa tra parentesi dei problemi strutturali del sistema-Paese?
Tutto sembra scorrere come se lunedì prossimo, una volta chiuse le urne, non si dovessero riprendere i percorsi legislativi già avviati, come se non ci si dovesse imbattere nelle urgenze dell’economia che dettano l’agenda e non si dovessero cercare nuove e più consistenti coperture finanziarie per fronteggiare emergenze oramai più che manifeste. Se l’uscita dalla crisi richiede la collaborazione e l’impegno di tutti, questi giorni scavano fossati ed alimentano confusioni vistose che, anche quando verranno agevolmente superate dai professionisti della politica, non garantiscono minimamente le stesse elasticità da parte degli elettori, strattonati da una parte e dall’altra e colpiti, ancorché indirettamente, da tesi assolutamente discordanti tra loro, per di più corredate da ricorsi costanti all’urlo mediatico.
Non è possibile rincorrere i temi – dai costi della politica a quelli della spesa pubblica, per poi risolversi dopo tre anni ad accusare Bruxelles e la Merkel, non senza il parallelo corteo di intercettazioni, fotografie e filmati che documentano fughe e spartizioni di denaro – senza che si manifesti un’estesa delusione verso una politica che non si spiega mai, ma riscrive ogni tre mesi la propria agenda di emergenze.
Dinanzi ad un dibattito che non si riesce a decifrare e che soprattutto appare incompatibile con quella drammaticità dei fatti che caratterizzano il momento attuale si rischia un mesto ritiro di interesse: ed è l’esito peggiore e meno auspicabile.