C’è molto da analizzare nella sconfitta netta e senza mezzi termini subita in Francia dal Partito socialista di François Hollande e nell’eccezionale vittoria di Marine Le Pen alle elezioni europee del 25 maggio. Si è qui dinanzi a qualcosa di più che ad una semplice tendenza anti-europeista dell’elettorato francese. In realtà, nel giro di cinque anni, si è prodotto un clamoroso ribaltamento dei rapporti di forza tra quello che era uno dei più potenti ed influenti partiti socialisti d’Europa ed un movimento minoritario, per anni relegato in un’area di protesta tanto marginale quanto folclorica, il Front National. 

Un tale ribaltamento è stato reso possibile dall’incredibile capacità della presidenza Hollande di sommare alle inevitabili e dolorose politiche di rigore, altrettante iniziative di disinvoltura culturale che hanno profondamente minato la principale risorsa della quale deve disporre una nazione in un periodo di crisi: la percezione di un’identità culturale condivisa, tale da rinforzare e rialimentare costantemente il legame sociale.

La presidenza Hollande è infatti riuscita nel compito maldestro di liquidare una tale risorsa sotto i colpi di una politica educativa della quale i suoi ministri si sono manifestati come volenterosi militanti. Da un lato questa ha sviluppato una vistosa politica di accoglienza alla cultura islamica, moltiplicando spazi ed eventi affinché questa potesse non solo rendersi sempre più visibile e sempre più conosciuta, ma potesse anche riprodurre usi e costumi, norme di comportamento e principi di regolazione delle relazioni. Dall’altro, riservandosi un ruolo di vero e proprio educatore sociale, si è adoperata per la diffusione dei programmi di gender nelle scuole elementari francesi in nome della lotta alla discriminazione delle minoranze sessuali, così come si è impegnata a risolvere il problema dell’adozione per le coppie omosessuali, programmando il ruolo di una nuova figura sociale: quella della gestatrice. 

In questa vera e propria pedagogia di Stato il governo ha letteralmente ridisegnato il volto della cultura nazionale, distribuendo patenti di inclusione assieme a certificati di esclusione (come è avvenuto nel caso dell’archiviazione definitiva della proposta di spazio museale riservato nel Louvre al cristianesimo orientale, già previsto e finanziato da Sarkozy nel 2010 e definitivamente cancellato dalla nuova direzione del museo espressione del governo socialista).

Ciò ha finito per situare le politiche immigratorie in un contesto assolutamente inedito, diverso da quello nel quale la crisi economica le aveva iscritte. Il problema dell’accoglienza, dopo essere stato per anni un problema strettamente economico, costituito essenzialmente dalla concorrenza degli immigrati sul mercato del lavoro, è diventato sempre di più un problema di identità culturale come ha vistosamente individuato Alain Finkielkraut nel suo ultimo libro L’identité malheureuse.  

È in un tale contesto che la tradizionale istanza identitaria, che è stata per anni la caratteristica specifica di una minoranza culturale, ha finito per diventare un’esigenza sempre più condivisa che Marine Le Pen ha saputo intercettare e sottoscrivere. Il Front National è rapidamente diventato il partito-argine, il partito sicurezza in grado di recuperare quella stabilità e quella serenità identitaria tanto più preziose quanto più gli scenari si fanno incerti.

Un secondo elemento di diversità è dato dalla critica alla politica europea. Nel Front National, al contrario dell’Italia, questa non ha assunto le forme della protesta contro l’euro, ma si è concentrata nella lotta contro la delocalizzazione. Lo spostamento delle aziende francesi in altri paesi della comunità europea – è recente il caso della delocalizzazione della Citroen C3 in Slovacchia – ha costituito una seconda forte critica al governo Hollande, colpevole di essere sprovvisto di “qualsiasi strategia industriale globale”. Il Front National si è presentato così come il primo garante della difesa degli interessi industriali della Francia, assertore di un “protezionismo intelligente nel quadro del patriottismo economico”, attirandosi così i consensi del mondo operaio che vede nella delocalizzazione delle aziende francesi verso l’Est europeo una pericolosa minaccia per il proprio futuro. 

Il terzo elemento sul quale il Front National va compreso è quello costituito dalla capacità di coniugare istanze popolari con il recupero di sovranità da parte dello stato francese dinanzi alle istanze di Bruxelles. Nulla è più distante da Marine Le Pen – laureatasi in giurisprudenza nella prestigiosa Facoltà di Paris II della rue d’Assas, avvocato del foro di Parigi – delle sirene dell’antipolitica. Quelle stesse istituzioni che altrove sono da assaltare sono, per il Front National, da recuperare, liberandole dai deliri pedagogici e “antipatriottici” dei nipoti di Mitterand. 

La vittoria di Marine Le Pen, la sua capacità di recuperare gli astensionisti definendoli come “l’armata di riserva della Francia libera”, dimostra come tanto la dinamica identitaria quanto quella della difesa del mercato interno siano due istanze destinate sempre di più a saldarsi tra loro.