I promotori di un referendum “per l’autonomia” in programma questa domenica nell’Ucraina sud-orientale hanno confermato che andranno avanti per la loro strada. E ciò malgrado Putin avesse suggerito loro di sospenderlo come gesto di buona volontà verso le autorità di Kiev. Non si può tuttavia escludere che si tratti di un gioco delle parti tanto più tenendo conto che l’organizzazione di un referendum del genere è sin qui proceduta in modi e a un ritmo che sembrano al di là delle capacità operative di queste regioni periferiche russofone dell’Ucraina. E’ perciò piuttosto probabile che aiuti in tal senso siano venuti proprio da quella stessa Russia il cui leader lancia adesso appelli alla desistenza.
L’iniziativa è ad ogni modo segno di una certa volontà di passare dalla ricerca di soluzioni militari alla ricerca di soluzioni politiche della crisi. E nel mettere sul tappeto la questione dell’autonomia lo stesso quesito referendario perciò stesso esclude la prospettiva della secessione. Se come si spera tutto ciò potesse aprire la via a un momento di tregua della crisi, il nostro governo avrebbe a nostro avviso tutto il dovere di cogliere l’occasione per dare finalmente più spessore alla sua politica al riguardo, finora invece evanescente. Diversamente dagli Stati Uniti, l’Unione Europea non ha nulla da guadagnare da una trasformazione del bacino del Dniepr, insomma della Bielorussia e dell’Ucraina, in un nuovo Medio Oriente.
E’ questo uno dei casi in cui gli interessi nordatlantici e quelli europei non coincidono. Finora invece l’Unione Europea continua a dare voce solo all’interesse nord-atlantico invece di comporlo con gli altri due grandi interessi che s’intrecciano dentro i suoi confini, ossia quello mediterraneo da un lato e quello baltico-danubiano dall’altro. Persistendo in questa autocensura, restando in politica estera passivamente nordatlantica, l’Unione non aiuta né se stessa né la pace attorno a sé. Se infatti si allarga lo sguardo al di là di un orizzonte che è ancora quello del 1945, non ci si può non accorgere che l’irrevocabile specifica prossimità storica della Russia e dell’Ucraina (che è l’antica Rus’, ovvero la Russia originaria) non può venire ignorata senza provocare contraccolpi che, proprio perché hanno profonde radici emotive, diventano facilmente incontrollabili.
Il ragionevole desiderio di Europa all’origine degli avvenimenti di piazza Maidan, e di tutto ciò che ne è derivato, va soddisfatto in modi informali e flessibili, ma senza suscitare o alimentare speranze insostenibili di ingresso dell’Ucraina nell’Unione né tanto meno nella Nato.
Non si può tuttavia pretendere che ciò possa venire compreso o tanto meno voluto da un’Unione Europea che pende soltanto verso nordovest. Chi può allora prendere l’iniziativa di un riequilibrio della politica estera dell’Unione? Innanzitutto il nostro Paese, quindi il nostro governo; senza escludere, in caso di mancato ascolto da parte di Bruxelles, anche delle iniziative in proprio.
Riuscirà Renzi in politica estera a muoversi in modo nuovo, al di là di un ordine costituito ormai superato dalla storia, facendo tesoro, beninteso in forma adeguata al nostro tempo, delle intuizioni del suo ideale maestro Giorgio La Pira? Se lo farà saremo ben lieti di dargliene atto.