Se, come diceva il buon vecchio Saint-Exupéry, ci vogliono i riti, allora ben venga quell’Esame di Stato che puntualmente e ritualmente ritorna ogni anno, tenendo in sospeso migliaia di giovani con le loro famiglie. Divenuti irrilevanti i riti religiosi, scomparso (per i maschi) quell’anno lontano dalla famiglia che era la leva militare, in un tempo che sembra essere sempre e solo carnevale, vacanza, disimpegno, non resta che questo significativo rito di passaggio a segnare la vita di un giovane.
I ragazzi lo vivono in tanti modi: c’è chi non ne può più di quella scuola, di quel preside, di quella prof. o di quei compagni e, vada come vada, dopo questo ultimo tributo da pagare sarà finalmente libero; c’è chi è ossessionato dalla media, dal voto, dalla performance, e non vede altro che questo; c’è chi si rende conto che con questo esame si chiude un ciclo di vita intensissimo, che non tornerà più, e si sente tremare la terra sotto i piedi; ci sono quelli che si emozionano a cantare tutti insieme “Notte prima degli esami” e si commuovono pure, perché magari cominciano ad apprezzare solo ora quello che in tanti anni di scuola hanno solo snobbato; c’è poi chi è preoccupato non tanto per l’esame in sé, ma perché da domani si comincerà a fare sul serio e le scelte saranno ancora più difficili e impegnative e il futuro di sicuro più incerto…
Insomma, sono veramente molti i fattori in gioco, moltissimi i motivi che rendono davvero essenziale questo rito: eliminarlo sarebbe forse più comodo per tutti, ma perderemmo un altro giorno che non è uguale a tutti gli altri e, con esso, la profondità che si porta dentro. Il fatto è che, poco o tanto, questa è una di quelle occasioni in cui ti metti davvero in gioco e vuoi scoprire quanto vali. Il senso di soddisfazione o di frustrazione per come ti è andato l’esame ti accompagnerà per tutta la vita e in buona parte ti darà la tonalità di colore con cui ricorderai tutti gli anni della scuola superiore.
Penso che sia giusto così, non sono tra coloro che fanno spallucce e invitano a ridimensionare l’importanza di questa prova. Come esseri umani abbiamo bisogno di conferme, abbiamo bisogno di capire a che punto siamo e chi siamo nel confronto con qualcuno che è altro da noi. Non c’è molto gusto a credersi i giganti dei nostri sogni o i nani delle nostre paure.
Detto questo, vale la pena di aggiungere che la riduzione di questo importante rito di passaggio alla formulazione matematica di un voto è quanto di peggio si poteva escogitare e si è di fatto escogitato. Mi si passi il paragone, ma siamo stati capaci di ridurre a banale calcolo matematico la meraviglia misteriosa di un fiore che sboccia.
In effetti i ragazzi sbocciano come i fiori e non tutti nello stesso modo e non tutti nello stesso momento, ma questo al calcolo matematico interessa poco. Se non sei ancora sbocciato nel primo anno del triennio, ti porterai appresso fino all’ultimo questo stigma, anche se magari, nel frattempo, sei diventato un genio. Il meccanismo dei crediti, così stupido e ingiusto (e spesso alimentato da professori che hanno la sindrome da “braccino corto” e che non hanno ancora capito che la matematica prevede anche il dieci e non si ferma all’otto), ti segna per sempre.
C’è un aspetto che mi ha sempre creato disagio: l’intenso lavoro che io e i colleghi svolgiamo per tre anni e che gli studenti svolgono con noi, l’impegno che gli chiediamo, la frequenza e l’attenzione che pretendiamo, i risultati che otteniamo, l’avventura che viviamo insieme, tutto questo in sede d’esame non vale che un misero 25 su 100. In pratica è come se davanti alla commissione esaminatrice si presentasse un mezzo sconosciuto, mentre invece è proprio lui, quello studente di cui conosci vita, morte e miracoli (si fa per dire)! E il giudizio della commissione dovrà basarsi sui calcoli di “griglie” che già da sole ricordano attrezzi di ferro, strumenti di tortura o di costrizione. Ci si chiede, davvero, che senso abbia questa riduzione di un’esperienza ricca e profonda a un conteggio da ragionier Fantozzi.
L’esame dovrebbe essere altro. L’orale, ad esempio, dovrebbe essere un incontro tra adulti, un dialogo, un confronto stimolante. Ma non lo è. C’è una tesina (spesso molto svalutata) come aperitivo, e poi un’interrogazione sulle singole materie, come se durante l’anno non se ne fosse fatta nemmeno una.
Proprio per la sua importanza e la sua ricchezza di significato, l’Esame di Stato va ripensato radicalmente, va portato ad un altro livello e va sganciato dalla logica un po’ maniacale dei numeri. Gli va ridato respiro. Deve diventare un giorno davvero speciale, al di là del voto finale. Io penso che anche gli studenti chiedano tutto questo. Diamoglielo, prima di metterli davanti ai test universitari di ammissione, dove pare che sia importante sapere chi fu il primo marito di Marilyn Monroe.