Com’è forte il dolore! A volte ti arriva addosso quando meno te lo aspetti, altre volte lo vedi arrivare e – solo a pensarci – ti viene già da piangere, molte altre volte – invece – lo senti crescere dentro di te piano piano, fino a percepirlo in tutta la sua destabilizzante forza.
Ancor più forte del dolore, però, è la sofferenza, ossia il nostro modo di reagire davanti al dolore. Perché non ti saresti mai aspettato che, di fronte ad una cosa che gli altri giudicano piccola e superflua, tu avresti reagito così, saresti crollato. E questo ti lascia sgomento, senza parole, incapace di riprendere totalmente il controllo della tua vita e del tuo desiderio di bene. Più amara di tutte, allora, è la consapevolezza. Nel momento in cui diventiamo consapevoli del nostro male, quando ci accorgiamo che tanto del nostro dolore nasce dalle nostre azioni, dalle nostre parole, dalle nostre scelte, ci troviamo di fronte al dramma più grande: quello di non poter dare la colpa a nessuno.
Così, smarriti e in balia di ciò che siamo o di ciò che proviamo, ci guardiamo attorno e non vediamo altro che un mondo che – nella maggior parte dei casi – ha deciso di non aspettarci. E tutto si avvolge di una gelida solitudine. Si fa strada così la soluzione finale, la tentazione della distruzione. Distruggendo, si pensa, “allora sì che potrò ricominciare”. E non si capisce che il problema non è fuori di sé, ma dentro di sé. Così, ubriachi di questa facile via d’uscita, in amore si chiude tutto e si cerca qualcos’altro, dinnanzi agli imprevisti si agisce con fermezza eliminandoli, anche nel caso che l’imprevisto sia un bambino inatteso, nella malattia – invece – si stacca la spina o di chi sta male o, molto più tragicamente, di se stessi.
E così quel dolore insopportabile, quella sofferenza deflagrante, quella consapevolezza amara, diventano il motore di un gesto di distruzione. Certamente giustificabile, minimizzabile, all’occorrenza anche esaltabile o, molto più prosaicamente, negabile. Di fronte alla vita, di fronte al dramma della vita, oggi la soluzione più semplice è quella quindi di distruggere, è quella di chiedere agli altri di diventare colpevoli di qualcosa che è solo dentro di me.
Per questo, per tutto questo, appare altresì luminosa la risposta che il popolo cristiano suggerisce ad ogni uomo e ad ogni donna che sono nell’ora della prova e della confusione: il cattolicesimo, infatti, non propone di “distruggere per vivere”, ma di portare a qualcuno la propria fatica, la propria sofferenza. Come è disarmante la risposta della Chiesa!
Essa, guardando Cristo, ci dice che il dolore non si può eliminare, che la sofferenza non si può fuggire e che la consapevolezza non si può evitare. Essa, guardando Cristo, ci dice che tutto si può portare, portare a Qualcuno. Da secoli tutto ciò avviene, nella tradizione della fede, col gesto del pellegrinaggio.
Nel pellegrinaggio ogni uomo e ogni donna assume su di sé la propria vita e la porta dinnanzi a Qualcuno. Col pellegrinaggio, insomma, ci viene detto che l’esistenza – qualunque esistenza – ha sempre una possibilità, la possibilità di essere offerta, di essere messa nelle mani di un Altro. Per questo – davanti alle miriadi di tragedie del nostro tempo, come davanti alla crisi economica o sociale – il gesto più ragionevole lo compiranno coloro che stanotte faranno a piedi tutta la strada che separa Macerata da Loreto, perché avranno avuto il coraggio di prendere tra le mani la propria vita e di portarla davanti ad un Altro. Il pellegrinaggio Macerata-Loreto, giunto quest’anno alla sua XXXVI edizione, è quindi per il nostro tempo un antidoto concreto alla tentazione di distruggere. Esso si è posto negli anni come una risposta ragionevole al male e al disagio della vita perché non ha proposto di rivendicare diritti, né di eliminare ostacoli, ma di offrire tutto. E non lo ha fatto in maniera magica, prendendo due bigliettini e due capretti e mettendoli sull’altare di Dio, ma attraverso la fatica del cammino.
Non c’è niente infatti come camminare, come affrontare la ruvidità della vita, che faccia emergere di più di che cosa abbia davvero bisogno, in ogni istante, la nostra esistenza: i pellegrini, che stasera partiranno con entusiasmo e con una certa ingenuità, dopo qualche ora di cammino, saranno inevitabilmente costretti dalla stanchezza, dagli eventi o dalle paure, a domandarsi che cosa stiano facendo, perché siano lì, che cosa sia essenziale per continuare a camminare e a vivere. In definitiva i pellegrini partiranno con tante domande, ma la strada li educherà ad avere una sola Domanda.
Stanotte, pertanto, non avverrà a Macerata un gesto meccanico ed evocativo, ma un fatto che provocherà tutti ad una scoperta, la scoperta che più forte del dolore, più vero della sofferenza, più profondo della consapevolezza, c’è l’Amore. È questo Amore che la nostra vita veramente attende ed questo Amore che può curare tutte le nostre ferite e non permettere al cuore di cedere alla follia della distruzione. Ma questo Amore, ci testimoniano coloro che si mettono in cammino, può provenire soltanto da Dio. Proprio questa loro certezza lascia interdetti e turbati tutti coloro che guardano, spingendo i media a velare l’evento, minimizzandolo o non considerandolo affatto.
La forza della testimonianza che parte stanotte da Macerata per tornare nelle nostre case piena di gioia è pertanto disarmante. Perché ci dice che ciò che cambia il mondo non è la politica o la strategia, ma la gratuità dell’Amore di un Padre. Notizia terribile questa per ogni potere: quell’Amore, infatti, non rientra tra le loro disponibilità. Non sono loro a concederlo, non sono loro a gestirlo. È libero. Proprio come lo Spirito che scende sulla Chiesa nel giorno di Pentecoste.