Si direbbe che tutti aspettassero questo momento. Il momento di infierire sulla Pulce. Di vederlo sconfitto, umiliato, distrutto. Di dire una volta per tutte che lui non è Maradona e non è Pelè. Che tre Palloni d’oro per lui sono uno sproposito. Che quello ricevuto alla fine della partita del Maracanà, come miglior giocatore del Mondiale, è spiegabile solo con le ragioni bieche del marketing.

Così a Lionel Messi, oltre allo scorno di una finale persa per un’amnesia difensiva (non sua) al 113esimo minuto, è toccato subire anche il rito perverso del tritacarne mediatico. Quel rito per cui con un certo gusto un po’ sadico un esercito di osservatori danno sfogo a segreti rancori.

Ma perché proprio Lionel Messi? Perché era l’uomo atteso all’appuntamento con la storia, si dice. E ha clamorosamente bucato l’appuntamento. Ma basta questo a spiegare tanto accanimento? Basta a giustificare, ad esempio, quell’insistenza maliziosa sulle immagini di lui che in campo rimette per lo stress e la fatica? 

In realtà si ha davvero l’impressione che con Messi i conti da regolare fossero altri. E che c’entrano con quel suo essere un po’ bruttino, calciatore dal fisico un po’ tozzo, non alto (1,69), con i capelli sempre pettinati come un liceale dei tempi andati. Con quel suo pomo d’Adamo così poco elegante… C’entrano con il fatto di vederlo sempre abbastanza composto negli atteggiamenti, perché non sa vestire i panni del divo. Messi è un campione globale che non riesce a liberarsi da una certa goffaggine, e che anche quando arriva a Milano, invitato dal duo Dolce & Gabbana a far man bassa nelle loro boutique (perché nella Milano calcistica purtroppo gli capita di rado ormai di arrivare), sembra davvero un pesce fuor d’acqua.

Di Messi in tanti, inconsciamente o meno, non hanno mai digerito il fatto che con un corpo così poco appealing, riesca a fare le meraviglie che gli abbiamo visto fare in tutti questi anni. Evidentemente in tanti devono aver covato montagne d’invidia nel veder la velocità con cui questo ragazzo dell’87 mulina le gambe, con cui salta gli avversari arrivando in porta con una facilità irrisoria (che è cosa molto diversa da irridente), con cui resiste ad ogni carica quasi fosse fatto di gomma. E chi è milanista come il sottoscritto ne sa qualcosa, visto che da lui gol ne abbiamo presi ad ogni sfida. Lui, così bruttino, così piccolo, ma soprattutto con quella faccia così insopportabilmente normale.

Volete mettere il paragone con quello stangone statuario e impomatato di Cristiano Ronaldo, uno che è finito fuori dal Mondiale davvero in modo indegno, senza che nessuno gli abbia imbastito il minimo processo? Uno che ha vinto molto meno della Pulce ma che non a caso guadagna pubblicitariamente più di lui? 

Ma Ronaldo è glamour e Messi invece non lo è. Come è glamour quel montato e strapagato di Neymar, che il destino ha voluto preservare dal disastro del suo Brasile, ma che nessuno ha mai processato perché arrivato lui il Barcellona che vinceva tutto, non ha più vinto niente, nonostante i 28 gol di Messi.

Lionel invece è un fuoriclasse che ha la colpa di non essere nient’altro al di fuori di quello. Che si può scrivere di lui? Che interesse c’è a raccontare che Tito Vilanova, il povero allenatore del Barcellona ucciso da un tumore, aveva voluto lui e solo lui al capezzale negli ultimi giorni? E che gusto c’è a descrivere quell’urlo da ragazzino impazzito di gioia, come alla prima vittoria, che tutti gli abbiamo visto sul volto, quando Romero, il suo portiere, ha parato l’ultimo rigore di Snejder e la porta della finale era così spalancata. 

La colpa di Messi è di essere in fondo uno troppo normale. Di non essere materia né di scandalo, né di leggenda. È uno che sta sempre in riga. Forse la cosa difficile da perdonargli è l’evidenza che anche stando in riga si possono fare meraviglie…