Molte volte nell’epoca moderna il Dio cristiano è stato messo sotto attacco. I residui di questa mentalità li ritroviamo spesso tra i nostri amici, i nostri parenti, i colleghi di lavoro. Ciò che dà fastidio di Dio è che, da un lato, promette tanto ma dà molto poco, mentre, dall’altro, perdona tutto risultando – agli occhi di chi non crede – un perfetto alibi per ripulirsi la coscienza e far finta di non essere responsabili del nostro male.

Ovviamente parlo di Dio, perché se dovessi parlare della Chiesa le obiezioni sarebbero infinite e forse ancora più feroci. Dio, ci viene detto dalla filosofia dopo Cartesio, è un’invenzione, una nostra proiezione, un’entità necessaria per il nostro equilibrio psichico, per tutelare l’ordine costituito o per giustificare le indicibili violenze che la società occidentale ha compiuto nei confronti della nostra coscienza. Eppure Dio sta lì, sempre pronto ad affascinare e a inorridire, sempre al centro dell’attenzione di ogni forma di espressione umana: tutto è per Dio o contro Dio. 

Dico tutto questo perché la storia di James Foley, il reporter ucciso nel Califfato come monito per Obama, è tutta intrisa di Dio. Chi lo ha ucciso, ci viene detto, lo ha fatto in nome di Dio. Chi lo ha ricordato, lo ha fatto per parlare di un Dio e di un ordine diverso da quello dei suoi assassini. Chi lo conosceva, infine, ci racconta di una persona profondamente affidata e nelle “mani di Dio”. Infatti, già nel 2011, di ritorno da una prigionia durata 44 giorni nei carceri libici, Foley aveva inviato una lettera all’Università di Marquette – dove aveva frequentato gli studi – solo per riaffermare che ciò che lo aveva liberato, ciò che ne aveva permesso davvero la scarcerazione e la sopravvivenza in una situazione disperata, altro non era stato che la preghiera. Preghiera sua, costante, e preghiera di chi da casa implorava proprio Dio di riportarlo in libertà. 

Eppure questa volta, lo dico con tanta onestà, tutto questo non ha funzionato. C’erano le preghiere di tutti, perfino la preghiera per i perseguitati promossa dalla Chiesa. Ma lui, James Foley – come molti altri – non ce l’ha fatta ed è morto. Ma, allora, che cosa serve pregare? Non è che i nostri colleghi o il nostro zio anticlericale hanno davvero ragione? Non è che questa preghiera rischia di essere un rito di massa per esorcizzare le nostre paure più profonde?

Io credo che la domanda corretta non sia questa. Io credo che quello che dobbiamo domandarci è ben più radicale: “ma chi è Dio?”. Vedete, la nostra cultura occidentale (quindi anche classica e giudaica oltre che cristiana) ha in qualche modo contribuito, nel tempo, a dirci troppe cose di Dio al punto che, per dirla con certi filosofi, noi lo abbiamo ridotto ad una “cosa”, ad un “ente”, a qualcosa che ci serve. Dio è diventato una parola comoda per chiudere molte domande, per risolvere molte situazioni, per porre le più svariate istanze e ha smesso di essere un’esperienza reale, concreta. 

A me piacerebbe davvero poter tornare al primo uomo che per la prima volta ha pronunciato la parola “Dio”. Magari non aveva questo suono, magari non aveva le stesse sembianze che ha per noi ora, ma di sicuro voleva significare un fatto ben preciso: la consapevolezza di una Presenza, la consapevolezza di un Altro oltre me, un Altro diverso da me. Dio non vive quando io ci penso, e neppure vive quando io “lo sento”. Dio vive come una montagna: c’è, è imponente, ed è semplicemente lì. Egli non si trova nel fragore del terremoto, né nell’impeto del fuoco o nella veemenza del vento: Egli sussurra, si accosta, si fa compagno di strada. E non dice niente. 

Davvero il cristianesimo è la rivelazione definitiva di Dio all’uomo: perché nel cristianesimo ciò che Dio è, si è mostrato nella sua più disarmante essenza. Egli è una Presenza d’Amore che si pone, una Presenza che sente le mie lacrime, una Presenza che guarda la mia vita e fa il tifo per me. Egli non si permette di violare la mia libertà, ma offre ad essa dei segni concreti che possano cambiare la mia vita intimamente e definitivamente.

Così è avvenuto l’altro giorno per Foley: in quel video si vedono solo due persone, ma non si vede quella più importante. Dio era lì ad ascoltare la preghiera di James, era lì ad implorare quell’altro uomo, un uomo che Egli stesso aveva fatto e voluto, di desistere, di piantarla. Egli era straziato e in lacrime a supplicare la libertà del boia affinché decidesse di ascoltare il Suo cuore. 

È questo che fa Dio: il mendicante. Egli mendica gli uomini di essere umani, Egli non lo impone perché ci ha voluti liberi. È proprio per questo che, allora, noi preghiamo: perché Lui possa mendicare sempre più forte, perché Lui possa implorare alla nostra intelligenza e al nostro cuore di muoversi per il bene, di non demordere nel cercare ciò che sana, di praticare la prudenza e di perseguire ciò che davvero ci fa crescere e diventare Santi, ossia veramente uomini. 

È per questo che Maria, lungo la storia, ha sempre chiesto di digiunare e di pregare: non per far cambiare idea a Dio, ma perché il cuore degli uomini finalmente possa udire il Suo pianto. Quello stesso pianto che, sono certo, pochi giorni fa è risuonato – implorante come uno che è crocifisso – per tutta la pianura di Ninive. Egli, il Signore Dio, stava tenendo James Foley tra le Sue braccia, mendicando solo che uno dei suoi figli, quel boia, avesse veramente il coraggio di essere uomo, di essere libero. Ancora una volta soltanto Lui ha avuto la grandezza e la forza di chiedere pietà per Abele, di prostrarsi straziato dinnanzi a Caino. Ancora una volta Egli non si è arreso e di fronte alla Croce, nel silenzio di un ennesimo sabato santo, ha fatto tutto quello che Egli poteva fare: ha dato vita dove l’uomo era solo riuscito a portare morte. È questo il mio Dio, è questo l’Onnipotente che prego. Ed è questo, cari amici, il Dio che il cuore di tutti, proprio ora mentre leggiamo, sta aspettando di conoscere.