Ai confini tra Russia e Ucraina la gente continua a morire, e anche lontano dai luoghi di combattimento comincia a soffrire disagi sempre più grandi, accompagnati più dalle bordate della propaganda e dai continui scambi di accuse tra le due parti che non da una seria ricerca delle vie per arrivare alla pacificazione e alla ricostruzione di un modo di vita e di coesistenza che è stato distrutto.
Da una parte abbiamo ancora Putin che il 14 agosto nel suo discorso di Jalta ha sostenuto che “la Crimea può svolgere un ruolo unificatore unico per la Russia, può diventare una sorta di fonte storica di riconciliazione tra rossi e bianchi, così che possano essere definitivamente guarite le ferite inferte al nostro popolo dal drammatico scisma del XX secolo”. Ma di fronte a una simile argomentazione non può passare come indifferente il fatto che una questione di rapporti tra Stati sovrani come l’annessione della Crimea da parte della Russia sia semplicemente scomparsa e sia stata trasformata non solo in una questione interna alla Russia, ma in una questione in cui ne va dell’identità della Russia: è una concezione della grandezza della Russia e del suo Stato nella quale tutto diventa puro strumento per l’affermazione di questa grandezza e dello Stato che la incarna.
In queste condizioni rischia di non restare più alcuna traccia non solo del diritto internazionale, ma della libertà e della dignità della persona in quanto tali; come ha recentemente affermato la famosa scrittrice Ljudmila Ulickaja: “il mio Paese ha dichiarato guerra alla cultura, ha dichiarato guerra ai valori dell’umanesimo, all’idea di libertà della persona, all’idea dei diritti dell’uomo elaborata dalla civiltà nel corso di tutta la sua storia”.
Dall’altra parte abbiamo ancora un Occidente che fa fatica a guardare ad Oriente con la stima che merita, ed è ancora convinto che la fine del totalitarismo sovietico sia stata unicamente il frutto della propria superiorità. È un Occidente per lo meno distratto e superficiale che, dopo aver denunciato la violenza disumana di quel regime, non è ancora arrivato a chiedersi seriamente come mai la sua fine sia arrivata senza gli spargimenti di sangue che tutti gli studiosi si attendevano: forse sarebbe ora che l’Occidente riconoscesse questa particolarità e si interrogasse sui meriti e sulle origini di una umanità sofferente che, nonostante la schiavitù violenta in cui era costretta, aveva saputo far così propri quei valori di libertà e di tolleranza di cui la Ulickaja rimpiange oggi l’offuscamento.
Riconosciuto questo, non si tratta però di alimentare, per reazione, quel senso di colpa che è oggi così diffuso in Occidente e che lo induce ad un odio di sé francamente suicida e ancora fondamentalmente ideologico. In effetti, dire che la politica putiniana è giustificata o anche solo comprensibile a causa della sensazione di accerchiamento e di umiliazione prodotta dalla politica occidentale è un’affermazione che può anche dare l’idea di un autentico desiderio di superare antiche inimicizie, ma ha alcuni difetti fondamentali.
Per un verso non spiega niente, in quanto propone come spiegazione degli avvenimenti non dei fatti reali ma delle sensazioni che sono proprio ciò che dovrebbe essere spiegato e giustificato; e questa continua sostituzione delle sensazioni soggettive ai fatti è uno dei vizi fondamentali dell’Occidente moderno. Per un altro verso poi dimentica due cose importanti che ci rigettano proprio in quel mondo dell’ideologia che si vorrebbe superare.
La prima cosa che si dimentica è che era esattamente questa la spiegazione che veniva proposta dall’Unione Sovietica quando voleva giustificare la sua politica liberticida (l’accerchiamento capitalista, si diceva, ci costringe a non andare troppo per il sottile con gli oppositori interni). La seconda cosa che si dimentica è che a nessuno verrebbe in mente di dire che il nazismo sarebbe giustificato dalla politica delle potenze vincitrici della prima guerra mondiale che avrebbe gettato la Germania nelle mani di Hitler. In questa maniera non si va da nessuna parte e si fa semplicemente ideologia.
Se si vuole veramente uscire dal vicolo cieco in cui si è finiti, bisogna piuttosto trovare un nuovo rapporto con la realtà fuori da ogni propaganda e da ogni ideologia. E non è poi così difficile. Si provi un po’ l’Occidente a immaginare un’Europa senza Dostoevskij, ma si provi anche Putin a immaginare una Russia senza Europa. In realtà il suo governo lo ha già fatto, ma per sentirsi ribattere dal consiglio scientifico dell’Istituto di Filosofia dell’Accademia delle Scienze Russa (un organismo che non è sicuramente composto da russofobi) che certe affermazioni non sarebbero accettabili neppure da semplici studenti. E se provassimo allora a cercare di capire perché non possiamo fare a meno gli uni degli altri senza venir meno alla realtà?