Con lo sguardo a Oriente. Così è iniziato il Meeting di Rimini di quest’anno. Nel suo messaggio ai partecipanti, il Santo Padre li ha invitati ad aprirsi a queste periferie: “Il cristiano non ha paura di decentrarsi, di andare verso le periferie, perché ha il suo centro in Gesù Cristo”. Una delle periferie cui si è aperto quest’anno in modo clamoroso il Meeting di Rimini è il Medio Oriente. Periferia particolarmente sanguinosa e dolorosa per i cristiani perseguitati e inquietante per coloro che hanno reso possibile la primavera araba. L’Occidente non sa cosa fare: sono passati dieci anni da quando ha messo in moto il suo ultimo progetto di ricostruzione nazionale nella regione, redatto negli uffici di Washington e conclusosi con un clamoroso fallimento.



Mentre Obama cerca sostegno per bombardare la Siria – un qualcosa di inutile per frenare l’avanzata del Califfato jihadista, come lo fu l’intervento in Iraq nel 2003 – al Meeting si ascolta la voce dei popoli del Medio Oriente. Tra le mostre ce n’è una dedicata ai cristiani d’Oriente e un’altra sull’Etiopia cristiana. Una terza parla dell’esperienza di Swap (Share with all people), un’associazione egiziana creata da cristiani e musulmani per approfondire l’esperienza che li ha portati a manifestare insieme in Piazza Tahrir.



A Rimini verranno anche proiettati i documentari “I muri di Terrasanta” di Caterina Doglio e “Waking next to the wall”, una produzione spagnola di N Medio, dedicata ai copti, i cristiani egiziani, che permette di capire la loro situazione. Non si tratta di una pellicola su una strana minoranza, un particolare gruppo esotico che prega nella lingua dei faraoni, cosa che potrebbe soddisfare l’interesse romantico di alcuni curiosi dell’Oriente. Il documentario vuole infatti raccogliere la testimonianza di un popolo che viene ancora martirizzato e che è decisivo per comprendere le sfide per il futuro della regione, la cui più importante è la possibilità che esista una società pluralista in un mondo a maggioranza musulmana.



La prima cosa che colpisce lo spettatore è la grandezza della persecuzione. Nonostante quello che accade in Iraq e in Siria, la situazione dei cristiani in Medio Oriente continua a essere sconosciuta alla maggioranza degli occidentali. I massacri, le chiese bruciate, le discriminazioni sono costanti. Nell’epoca ottomana, i cristiani erano obbligati a camminare attaccati al muro (walking next to the wall). Ora accade la stessa cosa.

Le testimonianze raccolte nella pellicola colpiscono per la risposta di coloro che vengono privati dei diritti fondamentali: nella maggioranza dei casi non rispondono con la violenza. Inoltre, i copti, nonostante siano colpiti duramente, non cedono alla tentazione di sognare un mondo a parte dentro la società che gli garantisca la sopravvivenza: rifiutano il ghetto. È un modo di rispondere pieno di intelligenza ed è logico che sorga una domanda sull’origine di questo atteggiamento.

Allo spettatore diventa evidente il modo orribile con cui l’Occidente guarda al Medio Oriente e ai cristiani della regione. La difesa dei diritti fondamentali non si può fare in modo astratto con l’ossessione di applicare il modello di una democrazia laicista e occidentale. Nel documentario, il Patriarca cattolico, per esempio, dice in maniera chiara che l’atteggiamento degli Stati Uniti è stato sbagliato. Ibrahim Isaac Sidrak afferma: “Certo, Saddam era un dittatore, ma gli americani devono dare delle spiegazioni su quello che hanno fatto in Iraq. Il Paese è diviso, c’è una guerra civile e i cristiani sono praticamente scomparsi”.

Ascoltare le periferie può porre fine a molti luoghi comuni. Agli spettatori di “Waking next to the wall” risulterà chiaro che non c’è una guerra dell’Islam contro i cristiani. Nella pellicola, Osama Abd, rettore di Al Azhar, riferimento per tutti i musulmani sunniti, dice che l’Islam, il vero Islam, non può perseguitare i cristiani. La guerra è tra i musulmani e i terroristi.