Tutti vogliono capire cos’è successo e perché, e questo è bene. Cento anni fa ebbe inizio la Prima guerra mondiale, e con essa il secolo breve, che ha sofferto un’altra Grande guerra, oltre agli orrori del nazismo e del comunismo. Le analisi si moltiplicano, si segnala la mancanza di realismo dei leader politici che pensarono a un conflitto breve, l’ascesa del nazionalismo, il nichilismo che si impossessò delle grandi masse… Sono tutti fattori senza dubbio decisivi e conviene continuare ad aggiungere elementi a un fenomeno che è molto complesso.

Se però si vuol capire qualcosa forse è meglio farsi aiutare dall’esperienza degli uomini che subirono le conseguenze di quel che cominciò un secolo fa. Uno di essi è Stefan Zweig, l’intellettuale austriaco, quello che si trovava nell’epicentro degli eventi, quello che ha visto il mondo prima dello scontro globale. Un altro è Aleksandr Solženicyn, il russo che ha visto i due periodi postbellici, che è stato internato nel gulag dal mostro creato da Lenin, uno dei personaggi che deve il suo successo alla deflagrazione che ora si commemora.

In queste settimane conviene rileggere “Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo” di Zweig. Attraverso le sue deliziose e tragiche pagine il lettore si fa un’idea molto chiara di com’era il mondo alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX: la vita seguiva un certo ordine, si sapeva come stavano andando le cose, era facile prevedere quello che sarebbe accaduto alle generazioni seguenti.

L’intellettuale austriaco ci fa rivivere lo scoppio del conflitto, tragico per la morte e la distruzione e anche il disorientamento che porta con sé. Disorientamento che cresce quando poi arrivano la pace e l’iperinflazione. Buona parte dell’Europa cade in un abisso di decomposizione umana dopo aver trovato un’uscita all’isolamento collettivo. Zweig dipinge un Vecchio Continente che si risolleva e cade diverse volte. Per lui non ci sarà il tempo di vedere il secondo dopoguerra.

Tuttavia ciò che colpisce nel percorso Zweig è la sua perplessità. Lo scrittore incarna, in un certo senso, una generazione che davvero può essere considerata l’apice di quello che lo spirito europeo è stato capace di creare nell’era moderna. È ammirevole quello che il mondo letterario, filosofico e musicale è stato in grado di generare. Zweig, che si muove con disinvoltura tra Austria, Germania, Italia, Francia e in minor misura nel Regno Unito, conosce tutti i grandi, come Claudel, Joyce, Mahler, Rilke e tanti altri. Conviene ricordare questo tesoro che appartiene a tutti noi. Ma nonostante guardi le cose da una posizione privilegiata, o forse proprio per questo, l’austriaco non riesce a darsi una spiegazione su quanto sta accadendo. Tanta bellezza si rivela impotente per frenare il crollo. Tanto che sceglie di suicidarsi.

Solženicyn ha invece un’ipotesi quando arriva ad Harvard nel ‘78 e tiene la sua famosa conferenza dal titolo “Un mondo in frantumi”. Per il russo, che ha visto svilupparsi tutto quello che Zweig aveva osservato allo stadio embrionale, “l’errore è alla radice stessa, alla base del pensiero dell’Età moderna. Mi riferisco alla concezione del mondo dominante in Occidente che, nata nell’epoca del Rinascimento, ha assunto forme politiche a partire dall’Illuminismo”. Questo pensiero concepisce la libertà come espressione di un uomo “misura di ogni cosa sulla Terra”. “Da sola, la libertà pura e semplice – aggiunge il dissidente – non è assolutamente in grado di risolvere tutti i problemi dell’esistenza umana, e anzi può soltanto porne di nuovi”. L’Illuminismo non fu sempre così. “Nelle prime democrazie, compresa quella americana alla sua nascita, tutti i diritti venivano riconosciuti alla persona umana solo in quanto creatura di Dio”.

Qual è la soluzione? Il russo parlava di raggiungere una nuova tappa antropologica. “Aggrapparsi oggi alle anchilosate formule dell’Illuminismo è da retrogradi”. “Questo dogmatismo sociale ci rende impotenti di fronte alle prove dell’era attuale”. Seducente.