Vanessa e Greta se la sono cercata. La rete è impietosa quando, sul far della sera, si diffonde la notizia del rapimento delle due ragazze lombarde ad Aleppo, in Siria. Le foto sui social network le ritraggono con la bandiera siriana invocante libertà dal regime di Assad e le due, che per andare in Siria si sono inventate in quattro e quattr’otto un’associazione e numerose raccolte fondi, subito vengono dipinte come ingenue, vittime della propaganda giovanilista della “sinistra”, incapaci di far fronte ad una situazione complessa come quella siriana. Poche ore prima, il paragone non sembri irrituale, la stessa sorte e la stessa ironia era capitata a quello Schettino capitano della Costa Concordia che – pare per un lampo di furbizia dei suoi avvocati – aveva chiesto (e ottenuto) di parlare ad un master promosso dalla Sapienza di Roma in qualità di esperto “nella gestione delle situazioni di panico”. I commenti si sono anche qui sprecati, come pure gli interventi di autorevoli esponenti del mondo politico e accademico, e il comandante – ancora una volta – ci è parso in tutta la sua forza caricaturale, incarnazione involontaria del “mariuolo” e delle sue imbarazzanti tecniche di sopravvivenza mediatica. La televisione ieri sera ci ha dato queste due notizie.
Il punto è che per molti – forse per troppi – tutto è finito lì, con qualche battuta, qualche ammiccamento, qualche lettura critica e sdegnata. Tutto finisce, insomma, col giudizio sommario e nessuno ha intenzione di andare oltre: non serve, è tutto lì. Già, ma perché accade questo?
Cosa si nasconde dietro questi eventi di così significativo da voler essere volontariamente censurato dai media e dai loro principali commentatori? Con cosa, tutti questi signori, non vogliono – o non possono – fare i conti? La risposta è molto semplice: ciò che viene rimosso dalle notizie non sono le azioni o le parole, ma i desideri, i sogni, le storie. Vanessa e Greta sognavano la libertà. La sognavano per la Siria e la sognavano come la avevano in testa loro: in modo magari semplice, forse ideologico, eppure per loro convincente.
Questo sogno le aveva portate ad incontrare altra gente, ad organizzarsi, a “fare qualcosa”, a percepire che la vita non è fatta per stare fermi, ma per essere presa in mano. Noi non sappiamo che cosa ci sia dietro la loro scomparsa, e non sappiamo se siano davvero state delle sprovvedute ingenue, ma sappiamo che volevano vivere, che volevano costruire, che non potevano stare ferme. E questo ci fa paura. E, proprio per questo, è più comodo definirle, ascriverle ad un partito, denunciarne l’ideologia: perché loro si sono mosse e non hanno accettato che l’ideale della vita fosse quello di sposarsi con un compagno di corso, comprare la casetta dei sogni e organizzare i weekend con gli amici.

Hanno pensato ad altro, hanno pensato che la vita valesse di più. E noi, che con il nostro telecomando cambiamo canale e passiamo ad altre “storie”, ci sentiamo migliori di loro solo perché più cinici e meno ingenui, solo perché arruolati tra le fila giuste e pronti a risolvere – da casa – ogni situazione del mondo. Che stupide quelle due a buttarsi così, senza paracadute, nel caos di Aleppo! Eppure che forza, che provocazione, che desiderio! Quand’è stata l’ultima volta che noi ci siamo buttati in una giornata di lavoro con la stessa baldanzosa ingenuità?
Quando è accaduto che la moglie, i figli, il marito non fossero degli ostacoli, ma delle provocazioni su cui lanciare tutto il nostro confuso desiderio? Io non conosco Vanessa e Greta, ma sono sicuro che loro sono partite perché la vita a loro sembrava troppo piccola, troppo stretta, per essere vissuta nell’agio di un progetto borghese dove il vertice del problema quotidiano è l’abbinamento dei colori tra cintura, scarpe e borsetta: loro volevano di più. E questo di più disturba, fa paura, provoca ironia e disappunto. Non torna. Come non torna la goffaggine di un uomo che si è presentato in Università a far lezione senza fare i conti con se stesso, con le proprie responsabilità, pensando solo alla voglia di riabilitare la propria immagine e di provare a uscire da “questo casotto” nel modo migliore possibile. 
Fino a rischiare di apparire ridicolo, incapace di tenere quella sobrietà e quel silenzio che davvero permettono di entrare in contatto con le proprie azioni e di rendersi conto dei propri errori. Schettino tutto questo non lo fa. Il suo comportamento pubblico ci racconta la paura di un uomo a guardare in faccia la propria vita, ci fa vedere come la voglia di “farla franca” sia insita in ognuno di noi e quanto sia terribile e lungo il cammino che ci conduce a vederci con verità, senza paura di ammettere – anzitutto a se stessi – chi siamo stati e che cosa abbiamo fatto. Ieri sera la televisione ci ha parlato di tante cose, ma non ci ha parlato di questo, non ci parlato di noi. Abbiamo sentito commenti, appelli, ironie, ma nessuno ha voluto che ci avvicinassimo al vero, a quell’impasto di ingenui sogni e di folli paure che ci impedisce – ogni giorno – di assumerci le nostre responsabilità e che il mondo tende a nascondere, a soffocare, perché farebbe venire fuori tutto il nostro bisogno di essere salvati.

Meglio ironizzare, meglio schierarsi, meglio processare sommariamente chiunque. Si rischia meno. Ma si perde tutto, si perdono quelle forze che non solo potrebbero fa ripartire il PIL, ma che renderebbero più umano ogni particolare della vita, anche questo misterioso istante in cui, terminato di leggere l’articolo, mi troverò gli occhi di un Altro davanti ai miei occhi. Eppure è lì che comincia la sfida: non in quello che uno fa, non nelle sue ingenuità o nei suoi errori. Ma proprio lì, nei suoi occhi che desiderano solo vedere il Cielo e che – un po’ goffi – hanno solo paura di dirselo.