Forse ai più è sfuggita l’uscita in edicola – nella collana «La biblioteca di Papa Francesco» allegata al Corriere della Sera – del romanzo di Joseph Malègue (1876-1940) Agostino Méridier (pubblicato la prima volta, a spese dell’autore, nel 1933). Si era ai primi di agosto ed essendo sostanzialmente sconosciuti sia l’autore che l’opera è probabile che pochi ci abbiano fatto caso. Ma vale proprio la pena richiederlo al proprio edicolante o direttamente al quotidiano milanese.

Agostino Méridier è un romanzo impegnativo: 1016 pagine in questa edizione e tre densi volumi in quella della Sei del 1962 – la traduzione è la medesima – che mi era capitato di leggere qualche mese fa. Impegnativo, anche, perché si tratta di un romanzo dal denso contenuto di pensiero. 

La vicenda narrata è quella di un ragazzo della campagna francese, nato – siamo a fine ottocento – in un ambiente ancora permeato di cattolicesimo. Quel ragazzo sarebbe potuto rimanere «il docile figlio delle tradizioni cristiane», ma ha dovuto fare i conti con la pretesa della filosofia moderna di produrre «la forza e la bellezza d’un mondo che la potenza umana sviluppava da sola, senza Dio». Non solo: questo mondo moderno ha messo in discussione le basi stesse della fede, cercando di mostrare come essa non regga all’analisi della critica scientifica; è la «crisi modernista» d’inizio novecento che travolge la fede tradizionale di Agostino (nome scelto in evidente riferimento al grande vescovo di Ippona), anche se non riesce a cancellare la sua sete di fondamenti stabili, la sua ricerca di un orizzonte adeguato alle proprie domande.

Sono due le sfere esistenziali in cui l’«animo inquieto» (per usare una celebre espressione di sant’Agostino stesso) del giovane professor Méridier non riesce a trovare pace. Anzitutto quella dell’amore: il brillante insegnante di filosofia lo scopre – e la descrizione che ne fa Malégue è di una meticolosità e di una perspicacia psicologica davvero rare – nel rapporto con una ragazza di una classe sociale più elevata della sua, con tutte le difficoltà che questo comporta. Proprio quando queste difficoltà sembrano completamente risolte piomba nella vita di Agostino l’altro immenso mistero esistenziale: quello della morte, la morte del piccolo nipotino prima, immediatamente dopo quella della vecchia madre ed infine gli inizi della sua stessa grave malattia. 

Non automaticamente il crollo di tutte le speranze affettive e di successo accademico riconducono Agostino alla fede cristiana. È solo l’inizio di un nuovo percorso, di un ulteriore livello di ricerca, che si concluderà, in un sanatorio svizzero, con l’aiuto di un vecchio compagno di università – un brillante studioso di fisica che si era fatto gesuita – che accompagna il protagonista negli ultimi passi della sua esistenza terrena, fino al rinnovato abbraccio della fede, che «non era un qualcosa di puramente dogmatico o dottrinale; era qualcos’altro: una vicinanza di cui a lungo aveva provato il terrore, e che finalmente gli si apriva alla gioia».

Intorno a questo scheletro narrativo si dipanano le mille pagine del romanzo, scritte con passione e stile mai banale. Una lettura non facile, ma indiscutibilmente sostanziosa.