A Mosca l’anno scolastico è ricominciato da un po’, ci sono stati i grandi festeggiamenti per il giorno della città – della “città eroe” (della seconda guerra mondiale), ha ricordato la voce di una hostess ai passeggeri del mio aereo appena toccato il suolo russo – e l’autunno ha già iniziato a dipingere di gialli e rossi le foglie degli alberi.

A Mosca sembra essere tutto come sempre, a parte il patriottismo esasperato che si respira ovunque e un’escalation di leggi che mirano a proteggerci da noi stessi – dalla nostra libertà – e a difenderci dai nostri innumerevoli nemici (sebbene i supermercati siano più pieni di quanto mi aspettassi).

Ma ritornando a casa, dopo aver trascorso l’estate in Italia, l’agitazione in me era decisamente troppo atipica perché potessi permettermi di archiviarla in fretta. E ho deciso di lasciarla essere, nella speranza  di comprenderne a fondo il senso.

Ne ho ben chiare le cause più evidenti: ho amici troppo cari in Ucraina e so che cosa li agitava al rientro in patria – la paura di essere chiamati (o che i figli siano chiamati) alle armi, i carri armati sul confine con la Russia e il destino della loro Chiesa, che poi, essendo la Chiesa di Cristo una, è la Chiesa e basta.

Se sono profondamente inquieta è perché queste loro preoccupazioni sono anche mie e, sinceramente, sono felice di sentirle tutte vibrare in me.

Ma appena tornata a Mosca ho sentito anche l’urgenza di decentrare il mio cuore perché il mio angolo di mondo, con i suoi gravi problemi, non diventasse una fissa o un’isteria: per poterlo vedere meglio, perché il “particolare” mio non impazzisse (di dolore si può ben impazzire!) ma si spalancasse al senso del tutto, avevo bisogno di un contesto di più ampio respiro.

Allora ho ripensato al Meeting di Rimini, che voglio ringraziare per la possibilità data a tutti di seguire gli incontri on demand, di ascoltarli e, volendo, ri-ascoltarli, per capire.  

Io ho iniziato ascoltando (e ri-ascoltando) l’intervento di padre Pizzaballa, il custode di Terra Santa, e nelle sue parole ho trovato il senso più profondo e vero della mia inquietudine. Ma l’ho trovato in “uno sguardo redento”.

A tema era la drammatica situazione del Medio Oriente; cito alcuni stralci delle sue parole: “Il male che sta di fronte a noi ci interpella come cristiani, ci chiede di esserlo ancora di più e fino in fondo […]. È proprio in queste circostanze che siamo chiamati a vivere la nostra vocazione cristiana in maniera completa, senza fughe e senza paure. Il male non deve spaventare un cristiano. Non dobbiamo essere stoici o atarassici di fronte a quello che sta avvenendo ma dobbiamo partire dalla profonda convinzione che il mondo è stato vinto e che nessuna distruzione può compromettere il compiersi della volontà di Dio: niente, nessuno. Satana non può fare niente contro la volontà di Dio […] Il cristianesimo nasce dalla croce e non può prescindere da essa. Gesù diventa il re del mondo sulla croce, non dopo il successo della moltiplicazione dei pani. Il cristianesimo nasce, insomma, da un fallimento umano, da una disfatta: umanamente era fallito, Gesù. Ecco, nasce da lì. […] E da un cuore trafitto. Che è il cuore di Cristo sulla croce. Quando parliamo di potere del cuore è lì che dobbiamo guardare, a quel cuore, che è la misura dell’amore di Dio. E di conseguenza anche del nostro. Il nostro agire da cristiani si deve misurare con quel cuore. Ci dimentichiamo spesso di questo fatto e cadiamo nella tentazione di credere che saranno le nostre imprese a salvarci, anche su questa nostra terra. Ma è sbagliato. Per un cristiano un’analisi della realtà, di qualsiasi realtà, non è completa se non è fatta anche in riferimento a Cristo […] che diventa misura e modello del nostro agire e del nostro pensare”.

Così si può ricominciare un anno che si prospetta duro non solo respirando, ma addirittura con entusiasmo e desiderio di scoprire cosa ci regalerà. Potremmo perfino essere chiamati a scoprire che Cristo è più forte dei carri armati ma se quel cuore, che è il cuore del mondo, vive nel reale, potremo affrontare qualsiasi circostanza e guardare dritto negli occhi chiunque – dagli amici che temono di essere uccisi a quelli che hanno altro a cui pensare – tesi a sentirlo battere in noi, in tutti e in tutto. E allora, decentrandoci, potremo anche, finalmente, ri-centrarci, cioè iniziare a mendicare che il cuore di Cristo diventi misura e modello del nostro agire e del nostro pensare.