Alla conferenza internazionale per la pace e la sicurezza dell’Iraq – che ha avuto luogo l’altro ieri a Parigi sotto l’égida congiunta dei governi di Parigi e di Baghdad, e dove 30 diversi Paesi si sono impegnati “con tutti i mezzi necessari” a combattere lo Stato islamico, Is – non erano stati invitati e quindi non erano presenti né la Siria né l’Iran; quest’ultimo aveva informalmente fatto sapere che non avrebbe comunque accettato l’eventuale invito. Come sempre quando eventi del genere sono ospitati dalla Francia, la cornice cerimoniale è stata scintillante e impeccabile. Non di meno è il caso di domandarsi quali concreti ed efficaci esiti ci si possano attendere da un incontro ove mancavano il governo della Siria, ovvero del paese ove sono le roccaforti dell’Is, e quello dell’Iran, una delle maggiori potenze della regione.
Lo stesso nuovo ministro degli Esteri dell’Iraq, Ibrahim Jafari, si è detto “dispiaciuto” dell’assenza dell’Iran rendendosi evidentemente conto di quanto ciò fosse controproducente. Con un ragionamento che la dice lunga sulla capacità del governo di Washington di capire la situazione, la scorsa settimana il segretario di Stato americano Kerry aveva invece escluso che si potesse chiedere la collaborazione all’Iran proprio a causa del suo coinvolgimento “in Siria e altrove”. Nel comunicato conclusivo della Conferenza si legge che i paesi partecipanti si sono impegnati a sostenere il nuovo governo iracheno nella sua lotta appunto “con tutti i mezzi necessari, compresa un’adeguata assistenza militare”. Ieri però la Turchia, che ha quasi 40 suoi cittadini tenuti in ostaggio dall’Is, ha precisato di essere disponibile solo a dare sostegno a operazioni umanitarie.
Sembra che l’impegno sia stato anche sottoscritto da dieci paesi arabi: Egitto, Iraq, Giordania, Libano, Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, ma non sono chiari gli impegni che ciascuno di essi ha preso. Viceversa è un fatto che nelle fila dell’Is ci sono miliziani a suo tempo addestrati in Arabia Saudita e in Qatar, e che questi due paesi, entrambi schierati contro il regime siriano di Bashar Assad, hanno perciò a lungo finanziato gruppi ora confluiti nell’Is. Se poi è vero quanto la Cia valuta, ovvero che l’Is disponga di una forza compresa tra 20 e 31mila uomini, ciò implica l’esistenza di una sistema logistico e di finanziamenti colpire i quali sarebbe non meno importante che bombardare le forze in armi sul campo.
In sostanza obiettivo della Conferenza, soprattutto voluta dagli Stati Uniti, era quello di raccogliere consenso e basi logistiche per gli interventi dell’aviazione americana in appoggio ai Peshmerga, ossia delle milizie del governo autonomo del Kurdistan iracheno, le uniche forze che nella regione sono armate, motivate e decise quanto basta per fermare gli islamisti dell’Is. Frattanto ai Peshmerga si stanno fornendo nuovi armamenti. In tutto questo consiste in sostanza il piano di Obama, il quale spera così di costringere l’Is ad abbandonare le regioni dell’Iraq del Nord che ha occupato e a ritirarsi nelle sue roccaforti nella Siria settentrionale, senza nulla dover chiedere né al governo di Damasco, né a quello di Teheran. A nostro avviso questa è una pericolosa illusione, ma speriamo di sbagliarci.