Accostare il martirio che stanno subendo attualmente i cristiani nelle regioni del Medio Oriente occupate dalle milizie di Al Baghdadi allo sterminio subito settant’anni fa dal popolo ebraico nei lager nazisti – come ha fatto Papa Bergoglio rivolgendosi al presidente del World Jewish Congress – non è una dichiarazione priva di conseguenze.
Se da un lato si tratta certamente – qualora ce ne fosse ancora bisogno – di chiamare le cose per il loro nome e mostrare i cristiani come vittime tanto dei propri carnefici quanto di coloro che si rivelano incapaci di intervenire, l’affermazione del Papa non è riducibile solo a questo. Sarebbe infatti un errore ridurla ad un implicito, per quanto autorevole, monito ad intervenire.
In realtà dietro c’è anche l’urgenza di rileggere e ridefinire quanto sta accadendo, rivelandone in primo luogo le dimensioni epocali. E questo il Pontefice lo fa con un accostamento di una semplicità immediata, ma anche di una indicibile portata storica: i cristiani sono oramai i nuovi ebrei, i nuovi ghettizzati e, proprio a causa della fede non abiurata, i nuovi martiri. Nelle parole immediate di quest’uomo abituato alla comunicazione immediata ma non per questo irriflessa, l’accostamento scelto ribalta completamente lo scenario al quale ci siamo assuefatti.
Affiancando le vicende attuali delle minoranze cristiane nel mondo a quelle della Shoah, Papa Francesco sta non solo rivelando le dimensioni gigantesche della tragedia che è sotto i nostri occhi, ma la sta anche avvicinando a quella che, per eccellenza, ha rappresentato il vero e proprio abisso morale del novecento. Un abisso nel quale, accanto al delirio di chi lo ha materialmente eseguito c’è stata anche la risoluzione fredda e politicamente consapevole di chi ha lasciato che avvenisse. Il male radicale, quello che oggi massacra i cristiani così come ha sterminato gli ebrei settant’anni fa, è il risultato della micidiale interazione tra chi aggredisce e chi non sa fermare l’aggressore, tra chi opera lo sterminio e chi non lo sa impedire, frenato com’è dai tempi umanamente indifferenti e inevitabilmente paralizzanti dell’azione politica.
Cristiani ed ebrei condividono così lo stesso destino, si ritrovano esposti alla stessa cruda contraddizione, ancorché con una differenza che rende ancora tutto più grave. Settant’anni fa l’Europa era in guerra, le notizie arrivavano con il contagocce. Al contrario di quelle stagioni tristi, nelle quali solo i comandi militari e le rispettive centrali politiche conoscevano le dimensioni reali dei fatti, oggi tutto avviene sul fronte dei media, tutti già sanno e tutti vedono. Ed è proprio lo scenario mediatico il significativo fronte sul quale si materializzano le strategie dell’aggressore. Sul fronte dei media l’Isis realizza tanto l’obiettivo di provocare la reazione militare di un’alleanza nella quale spingere i singoli paesi arabi a schierarsi, quanto quello di presentarsi, agli occhi delle sterminate minoranze che vivono nelle periferie delle metropoli occidentali, come il nuovo ed autentico ricostruttore del disperso universo islamico.
Proprio per questo il problema è allora quello di saper guardare e di saper leggere, di saper filtrare le immagini e cogliere le molteplici poste in gioco. Proprio per questo le parole di Papa Francesco sono tanto più preziose quanto più consentono di saper guardare e di saper definire ciò che realmente accade: e ciò che accade ai cristiani è lo stesso genocidio, lo stesso sterminio di massa che ha colpito il popolo ebraico. Ci ritroviamo accanto ai nostri fratelli ebrei per le dimensioni di quanto sta avvenendo, ma siamo accanto a loro anche per l’esperienza condivisa di un’indifferenza che ci colpisce entrambi, come se i drammi non arrivassero e le tragedie non avvenissero.
Un mese fa Papa Francesco ha chiesto di “fermare l’aggressore ingiusto” con tutti i mezzi che l’autorità internazionale avrebbe ritenuto necessari. Oggi ci dice che i cristiani sono i nuovi ebrei, le nuove minoranze trucidate in una guerra che sembra non esistere, almeno fino a quando non viene riproposta dai media o dai filmati dell’Isis. Poche analisi chiare, destinate tuttavia a stamparsi in modo indelebile in una coscienza collettiva che è chiamata inevitabilmente a ridefinirsi ed a crescere.