Negli ultimi giorni del Meeting di Rimini è stato pubblicato un articolo interessante che riapre sulle caratteristiche che deve avere una presenza cristiana. Giuliano Ferrara, difensore dei valori “non negoziabili”, si è opposto a quel che ha detto uno degli ospiti del Meeting: Pierbattista Pizzaballa. Il Custode di Terra Santa, in uno degli interventi più profondi di Rimini, ha messo in luce i limiti delle iniziative che sono state avviate in Medio Oriente per salvare “il cristianesimo e la sua cultura”. Pizzaballa ha denunciato il fatto che ci sono molti stereotipi su quanto sta accadendo nella regione, attraversata non da una guerra di religione, ma da una lotta di potere che è in contraddizione con la storia di quei territori.
Il sacerdote francescano ha respinto la demonizzazione generica dell’islam, ha rivendicato il passato di convivenza tra le diverse confessioni – basata su un’identità esplicita e non censurata come avviene in Occidente – e ha detto che l’uso della forza va condizionato dalla presenza di una prospettiva di ricostruzione. Il Custode ha portato esempi di collaborazione tra cristiani e musulmani presenti in Siria. Tutto questo nasce, ha evidenziato, da uno “sguardo religioso redento”. Uno sguardo di cui tutti abbiamo bisogno.
Ferrara si è arrabbiato e ha bollato questo sguardo redento come qualcosa di storicamente irrilevante, come un’analisi spirituale che non ha nulla a che vedere con le sfide sociali. Per il direttore de Il Foglio, l’opzione laica, l’unica che ha valore, è quella che difende il cristianesimo, in questo caso con la forza e senza troppi complimenti.
Il caso del Medio Oriente è emblematico per molte altre questioni e al Meeting di Rimini ci sono stati diversi esempi: il nichilismo europeo, i nuovi diritti, la costruzione della democrazia. Se il cristianesimo non è un’esperienza vincente, capace di sedurre le persone per il suo valore umano, di rispondere ai nichilisti europei o a chi cerca il paradiso nei nuovi diritti, resterà sempre sulla difensiva. Finirà sempre per difendere una fortezza assediata – un sistema, piuttosto che alcuni valori o una dottrina – che diviene inospitale per chiunque.
L’alternativa tra difendere il cristianesimo e “fare il cristianesimo” (un’espressione di Peguy) riguarda anche il modo di concepire la Chiesa. Lo ha chiarito un altro ospite del Meeting di quest’anno, il gesuita Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e amico personale del Papa. Ha spiegato che ci sono due modi di intendere la Chiesa. Da una parte l’idea della Chiesa-faro, che in mezzo alla tempesta, immobile, proietta la sua luce e difende dei principi chiari.
Dall’altra l’idea di una Chiesa che si spande in numerose fiaccole e che porta la luce lì dov’è l’uomo e che lo accompagna persino quando naufraga. Questa è la Chiesa di Francesco (e anche di Benedetto XVI). È la Chiesa che non offre un sistema chiuso di valori o una dottrina come unica risposta, ma che si lascia provocare dalla realtà. Non si tratta di relativismo, ma è la conseguenza di concepire la verità come relazione.
Questo modo di intendere la Chiesa, ha suggerito Spadaro, è quello che aveva Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione. Papa Francesco, nel suo messaggio al Meeting di Rimini, ha invitato i suoi partecipanti a non difendersi dalla realtà, ma a viverla intensamente. Come raccomandava sempre Giussani.