La liturgia di domenica 7 settembre presenta nella prima lettura un testo del profeta Ezechiele (Ez.33) nel quale è contenuto un annuncio di un’attualità e di un’importanza estrema. “Se tu non richiami il ‘malvagio’ per i crimini che egli compie, il malvagio morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte della sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato”. 

Attualissimo, come lo è sempre la parola di Dio. I mafiosi, i miliziani del nuovo stato islamico tagliatori di teste, i violenti, gli stupratori, gli avidi di denaro e di potere, i peccatori di ogni genere vanno richiamati alla conversione. E ciò che fa ogni giorno papa Francesco come tanti vescovi e sacerdoti che sono in prima linea, ma all’elenco di coloro che vanno richiamati bisogna aggiungere anche quei teologi che fanno del male con giudizi e dottrine fuorvianti. 

È il richiamo che ha fatto Papa Francesco nell’omelia a Santa Marta il 2 settembre. “Tu puoi avere cinque lauree in teologia – ha detto Papa Francesco – ma non avere lo spirito di Dio. Tu sarai un gran teologo, ma non sei un cristiano perché non hai lo spirito di Dio. Tra i nostri fedeli noi troviamo vecchiette semplici che forse non hanno finito le elementari, ma che ti parlano delle cose meglio di un teologo, perché hanno lo spirito di Cristo…” San Paolo non aveva lauree conseguite alla Gregoriana o alla Lateranense, ma parlava secondo il pensiero di Cristo. Come mai, si è chiesto il Papa, quando Gesù parlava, lo faceva con autorità e la gente si convertiva, e a diversità dei dottori della legge rimaneva colpita dalla sua autorevolezza?  Gesù non era uno che “denunciava” i malvagi, i corrotti; non era un predicatore come tanti che fanno “prediche-denuncia” alla domenica prendendosela con chi è lì a messa.

Perché questi preti stancano e irritano la gente? Perché non basta denunciare con parole di sapienza umana, bisogna predicare con l’unzione dello Spirito Santo. Le cose dello Spirito non si capiscono con il linguaggio dei media. Colpiscono i testimoni, quelli che parlano delle cose dello spirito perché le vivono, perché le loro parole non vengono dallo spirito del mondo. “Non conformatevi allo spirito del mondo”. (Rom. 12) Ciò che dà autorità alle parole è lo Spirito Santo, non le nostre lauree.

Chi ha seguito quest’anno il Meeting di Rimini è stato certamente colpito dalla forza carismatica di tanti testimoni che toccavano i cuori con la loro fede semplice e integrale. Chi non arriva a toccare il cuore della gente è perché fa sfoggio della sua cultura o del suo moralismo.

Così Papa Francesco ha concluso la sua omelia: “Donaci il tuo Spirito, donaci il tuo modo di pensare!” Diceva Péguy: “la fede di un carbonaio può essere altrettanto grande della fede di Tommaso d’Aquino”. 

Sentiamo questa responsabilità della correzione fraterna, cioè di sorregerci da fratelli, tra fratelli, nell’umiltà e nella pazienza, nel non-scandalo della malvagità altrui, perché il pensiero di Cristo è all’origine di ogni parola che esce dalla nostra bocca e quindi opera non con le nostre parole, ma con la Sua.