Nelle ultime pagine del romanzo storico di Louis de Wohl La gloriosa follia c’è una frase particolarmente interessante. La pronuncia san Paolo; è ormai vecchio, sta andando a Roma per il processo che lo condannerà alla decapitazione; facendo tappa a Pozzuoli vi trova il vecchio amico Cassio Longino, colui che aveva trafitto Gesù in croce e poi era diventato cristiano, colui che – lo racconta la prima parte del romanzo – stava per uccidere l’allora Saulo mentre si recava a Damasco ad arrestare i seguaci del Nazareno ed era stato bloccato dall’intervento stesso di Cristo che si manifestò al persecutore facendone il suo più intraprendente apostolo. Longino è un buon soldato romano, pratico e volitivo; Paolo lo stima e proprio per questo lo corregge nel suo attivismo deluso, definendolo «così ambizioso da concedersi troppa poca gioia» e aggiunge: «Come puoi diffondere la lieta novella se non ne gioisci tu stesso?».

L’ambizioso è chi ha sempre in mente i propri obiettivi, magari giusti, ma inevitabilmente ha sul volto l’ombra della costante preoccupazione, quando non dell’arrabbiatura perché i risultati non corrispondono – nei modi e nei tempi – alle sue aspettative. I percorsi divini sono sempre strani: Longino ha educato cristianamente l’unica figlia e questa si è trovata a convivere con Nerone, avrebbe voluto fondare una comunità a Napoli e non vi è riuscito. Star troppo legati ai propri obiettivi rende tristi, impedisce di «concedersi» quella gioia che costituisce l’attrattiva per cui il cristianesimo è interessante. Infatti, come più volte ha ricordato papa Francesco, la fede non si comunica attraverso la pianificazione strategica di uomini preoccupati, ma attraverso il fascino di uomini consapevolmente gioiosi.

Quando Dante si trova in cima al paradiso, al termine del suo straordinario viaggio, viene interrogato da tre apostoli in merito alle tre virtù teologali. Sulla fede lo esamina san Pietro, il quale, dopo avergli chiesto cosa sia la fede e se lui ne sia dotato, chiede a Dante da dove l’abbia ricevuta. Il principe degli apostoli formula la domanda in questo modo: «Questa cara gioia / sopra la quale ogni virtù si fonda, / onde ti venne?». È chiaro che la «cara gioia» di cui qui si parla è la preziosa perla – gioia: gioiello – di cui dice il Vangelo, è la gemma per ottenere la quale val la pena di sacrificare tutto il resto.

Ma al lettore – e probabilmente anche all’autore – non può non tornare in mente un altro passo dellaCommedia. Proprio all’inizio del cammino, nel primo canto dell’Inferno, Dante è smarrito nella selva oscura, vede una persona e gli chiede aiuto. È Virgilio, il quale gli domanda come mai non si decida a salire «il dilettoso monte / ch’è principio e cagion di tutta gioia». Non può perché ci sono tre belve che impediscono il passaggio e quindi il poeta fiorentino dovrà essere accompagnato per «altro viaggio». Quello, appunto, che lo porterà di fronte a san Pietro. Viaggio che ha come meta la gioia o, meglio, la felicità in cui può entrare solo chi ha trovato la perla/gioia della fede.