New York 2001, Parigi 2015: lo stesso sgomento, lo stesso senso d’ingiustizia, la stessa angosciosa insicurezza. Due milioni di persone hanno sfilato sventolando bandiere di ogni tipo, anche di Paesi islamici, e stringendosi fra di loro per darsi coraggio. Da un’altra parte nella stessa città, cinquanta capi di Stato di tutto il mondo hanno sfilato da soli, anche loro impauriti e divisi, a dispetto della certezza che avrebbero dovuto comunicare.
Perché è successo quello che è successo a Parigi? Perché non sappiamo più dirlo, neanche noi cristiani? Il motivo è semplice anche se dirompente: ci siamo dimenticati su cosa poggia la tolleranza dell’Occidente sbandierata in questi giorni.
C’è un dato di fatto che precede anche la religione: nessun uomo può dire “io so chi è Dio”.
La vita e la persona sono un mistero verso cui si è tesi, ma che non è nelle nostre mani: questa è la vera religiosità. L’uomo sta di fronte a un mistero che non possiede, e che può solo umilmente, e mai definitivamente, imparare a riconoscere dalla realtà.
“La lotta culturale più profonda e nelle grandi crisi come quelle del nostro tempo” scriveva don Luigi Giussani, è “lotta fra l’uomo religioso autentico, vale a dire l’uomo che riconosce il Dio superiore a sé, più grande di sé, incommensurabile a sé, il Dio mistero, e l’uomo che riduce Dio a idolo, vale a dire che identifica il significato totale e il ciò per cui tutto vale la pena con qualcosa che a lui preme”.
L’autentica tolleranza nasce dalla consapevolezza che il mistero della persona vale più anche della religione. Ogni persona è il cuore di questo mistero inviolabile, ogni vita è unica e irripetibile e vale più dell’universo.
In ciò consiste la vera religiosità quando non diventa ideologia.
Per questo non ha ragione Angelo Panebianco quando sul Corriere della Sera scrive che se i terroristi islamici uccidono “in nome di Dio”, gli europei questo non lo fanno solo perché nessuno in Europa ormai crede più a Dio. Come Umberto Eco, anche lui sottintende che tutti i mali e le violenze dell’uomo hanno come causa la religione.
Invece, è pretendere di possedere la volontà di Dio la radice del terrorismo, come di ogni violenza che c’è nella storia. Anche quando questo dio non è quello delle religioni, ma è l’idolo delle ideologie, dello stalinismo, del nazismo, di tanti nazionalismi colonialisti per cui si sono compiuti i più efferati genocidi.
Anche la storia del Cristianesimo non è priva di queste cadute tanto che Giovanni Paolo II ha pubblicamente chiesto perdono per i peccati dei cristiani.
Affermare, come ha fatto il Vaticano II, di non poter imporre la conversione significa mettere le premesse per un pluralismo che non è laicista e non è nichilista. Del resto lo si può vedere dagli esempi di amicizia tra musulmani e cristiani che non mancano nell’esperienza quotidiana di molti. Gente che, mossa dal comune desiderio di bene e di una risposta al suo bisogno di incontrare un destino buono, vive, si aiuta e lavora insieme.
Questo succede nella vita quotidiana e nei momenti più drammatici: lo abbiamo visto nei giorni della rivolta di Piazza Tahir in Egitto – come documentato in una mostra al Meeting di Rimini – dove giovani cristiani hanno dato la vita per giovani musulmani e viceversa. Lo vediamo in opere di solidarietà e di sostegno come i centri di aiuto allo studio Portofranco, dove liberamente convivono e si aiutano nello studio ragazzi di diversi credo religiosi.
Questi fatti mostrano che ci sono strade, non solo di convivenza, ma anche di amicizia possibili e che il rispetto dell’altro, che fonda anche la libertà di opinione, è qualcosa per cui val davvero la pena di manifestare.