La festa di Capodanno nasconde nelle sue mille luci, nelle sue simpatiche bollicine, persino nel fermo discorso del capo dello Stato una nota di malinconia. E’ bello che sia così: senza malinconia saremmo meno uomini. Alla svolta di un anno essa non nasce tanto dal ricordare gli avvenimenti di quello trascorso, dagli inevitabili bilanci, dalla speranza nei propositi o nei progetti verso i quali ci spinge la nostra inquietudine, quanto dall’avvertire con maggiore concretezza il passare del tempo. “Carpe diem” direbbe Orazio davanti al mare agitato dal vento invernale che affatica gli scogli, ma la sua saggezza si spegnerà in un’ode più tarda: “Fugaci corrono gli anni, e la buona coscienza non ritarderà le rughe, la vecchiaia e la morte non domata“.
Non è questo il tempo per gli accorgimenti con i quali ci si illude di riempire la vita e di sfruttarla al massimo, anche per il bene, come insegnerebbe Seneca, o per i rimpianti di cui è intessuta gran parte della poesia lirica da Petrarca in poi.
E’ forse invece il tempo di fermarsi e di lasciare che questa pausa offra il suo dono: l’accorgersi delle cose e della loro compagnia al passaggio dell’uomo su questa terra. Così in una breve poesia di Heidegger: “Si stendono i boschi / precipitano i torrenti / le rocce stanno, irrigidite nel loro durare, / scroscia la pioggia. / I campi sono in attesa / sgorgano le sorgenti / dimorano i venti, / la benedizione si sofferma pensosa“.
La natura suggerisce persino a chi vive in città l’idea del passare del tempo: le foglie cadono a terra d’autunno e i boccioli di magnolia nella loro lanugine aspettano tutto l’inverno di schiudersi al primo sole di primavera. L’alternanza senza sosta del giorno e della notte, il ritmo costante delle stagioni contrastano certo con la traiettoria lineare della vita umana, ma tutte le cose, dice san Paolo, aspettano di essere prese dentro il moto della redenzione: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”.
Perciò grande è il compito dell’uomo nel prendersi cura di tutto ciò che vive. Lo accenna la Chiesa, non a caso verso la fine del suo anno, quello liturgico: “Corrono i nostri anni verso la (il) fine; leviamoci dunque a dar gloria a Cristo”, indicando la direzione e il contenuto dell’attività umana, che è dare senso alle cose.
Ma come potrà assumersene il peso una creatura così piena di buona volontà, ma anche così maldestra e riottosa? Forse scoprendo che alla radice del suo passare c’è qualcosa che la sostiene, come il filo dell’elicottero ha sostenuto i naufraghi nei giorni passati.
“Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”: è l’invito del salmo 89, che non esclude la nostra propensione per il calcolo e per una saggezza che lo comprenda e lo superi.
Misteriosa questa sapienza, quasi come la perla preziosa nascosta nel campo. Un uomo la trova, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. E’ attivo quest’uomo, valuta e si muove.
Possa essere così anche il nuovo anno che si apre sulla nostra vita.