Domani è domenica 1° febbraio, nota ormai in tutta Italia come la Giornata per la vita, indetta 37 anni fa dai vescovi italiani. Davanti a quasi tutte le chiese si vedranno volontari e volontarie del Cav (Centri aiuto alla vita) offrire vasetti di primule multicolori per autofinanziare questi luoghi, nei quali madri in difficoltà sono ascoltate, sostenute, aiutate in tutte le loro necessità. La giornata ha uno scopo ben preciso: un invito a guardare il mistero sacro che c’è in ogni persona e prodigarsi per la cura della vita dal concepimento al suo termine naturale. Tanti sono in Italia quelli che si mettono a servizio di una vita che a volte viene “seminata nella debolezza” (1 Cor 15,43) come dice in questa circostanza il Messaggio dei vescovi italiani. Vite seminate senza amore nel grembo di tante donne, bambini che poi saranno accolti da altre famiglie in forza della rivoluzione della tenerezza, come dice sovente Papa Francesco.
Il declino demografico, la denatalità crescente stanno producendo effetti devastanti: i bambini di oggi porteranno sulle spalle — come una piramide rovesciata — il peso schiacciante delle generazioni precedenti. Solo in Italia ogni anno a 100mila bambini con la pratica dell’aborto viene impedito di vedere la luce della vita, senza contare che, attraverso la prassi della fecondazione artificiale, c’è una notevole dispersione di vite umane che non nasceranno mai. Il desiderio bellissimo di avere un figlio si è trasformato nella pretesa di averlo ad ogni costo, perché di costi si tratta, e per coloro che si dispongono ad adottare bambini o accoglierli in affido quanti gioghi pesanti, percorsi irti di difficoltà vengono imposti. Questo è un giorno che dovrebbe scuoterci da quella maledetta globalizzazione dell’indifferenza. “Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro” (Papa Francesco).
Come è possibile incamminarsi verso un nuovo umanesimo?
Ad una sola condizione: amare e vivere intensamente la realtà presente. Questo ci richiama una giornata tipo di Gesù come quella che San Marco descrive nel Vangelo che leggeremo domani.
Una giornata tipica della vita di Gesù fa impressione. Al mattino presto è nella sinagoga di Cafarnao, dove insegna con autorità, tanto da stupire tutti con il suo insegnamento. Poche ore dopo esce dalla sinagoga ed entra nella casa di Pietro a visitare la suocera ammalata. Gesù la guarisce ed ella si mette subito a servirli, scende la sera, ma la giornata non è ancora finita: accorrono da tutti i paesi e i villaggi vicini ammalati e indemoniati di ogni tipo. Gesù con infinito amore li accoglie tutti, uno per uno, scaccia il demonio dal cuore e dal corpo di questi poveretti. Si può pensare con ragione che ormai sia stanco, ma per Gesù non è ancora l’ora del riposo.
Il suo riposo consiste nel far perdere le sue tracce, allontanarsi in un luogo deserto e là stare ore e ore con il Padre suo in preghiera, finche viene raggiunto dai suoi discepoli che gli dicono: tutti ti cercano. Gesù riparte spinto da che cosa? Dall’amore che lui respira con il Padre e che trasmette a ognuno di noi. Una compassione per ciascuno. Imitare la vita di Gesù è il solo metodo che ci trascina dalla cultura della morte alla cultura della vita.
Il valore assoluto non è questa vita, pur destinata a finire, ma è l’amore per il destino di ogni uomo. È solo questa compassione per cui ogni giorno si possa spendere per la vita dell’altro come hanno fatto i Santi. Prima della vita viene l’amore alla vita. Impariamo da don Bosco (“non bisogna solo voler bene ai giovani, bisogna che si accorgano che gli vogliamo bene”) e impariamo dalla realtà come la stupefacente storia di Martin Pistorious raccontata nel libro Ghost boy. Un uomo oggi sposato che ha passato dodici anni in coma e contro ogni speranza ne è uscito grazie all’amore e le attenzioni di un’infermiera che se lo prese a cuore. Una storia che si conclude con questa frase di Martin, trattato per anni come un guscio vuoto senza libertà mentre lui si accorgeva di tutto: “Nessuno sa quali pesi possiamo portare finche non ci vengono chiesti e perché la vita è una trama imprevista che può cambiare in un secondo”.