Papa Francesco ha visitato gli Usa. Come cittadino statunitense ho cercato, attraverso i suoi interventi principali, di seguire il suo messaggio al popolo americano. Qui non voglio entrare nel merito dei singoli discorsi, ma solo esprimere un’impressione generale.
La prima cosa che mi ha colpito, e mi ha lasciato un po’ sconcertato ed estraniato, era il taglio celebrativo di tante fonti giornalistiche. Era davvero diverso, stavolta, da com’ero abituato a trovarlo sui medesimi organi di stampa a proposito di una visita papale sotto la bandiera a stelle e strisce.
In passato lo spazio dedicato alle parole del papa era minimo, e l’attenzione andava quasi esclusivamente alle sue espressioni suscettibili di obiezioni nel popolo americano; con un tono piatto e neutrale nel migliore dei casi, il più delle volte preoccupato e scettico. Puntualmente nei servizi veniva riservato ampio spazio ai cattolici dissidenti rispetto alla dottrina della Chiesa specialmente sui temi noti a tutti: sesso, matrimonio gay, sacerdozio femminile, con in più i casi di abusi sessuali. Solo alla fine veniva data la parola a chi era d’accordo col papa, con l’inconveniente di dover rispondere in pochissimo tempo a un bombardamento di domande taglienti che in teoria avrebbero necessitato di una lunga discussione.
La scena questa volta era come invertita. C’erano lunghe citazioni dai discorsi di papa Francesco, seguite da tante interviste con persone colpite positivamente da uno o dall’altro aspetto delle sue parole. Ne risultava un’immagine complessa della società e della Chiesa. Infine, venivano i cattolici o i cristiani di una posizione definita “conservatrice”. Essi o dovevano difendersi dall’accusa di essere contro il papa, o cercavano di mostrarsi contenti della visita e delle parole del pontefice.
Onestamente non mi trovavo a mio agio. Era difficile per me ritrovarmi nei sorrisi di persone che tante volte avevano condannato l’insegnamento della Chiesa, attaccato i suoi difensori e promosso cambiamenti sociali che a me sembrano disastrosi. Il fatto è che sono anch’io un po’ affezionato alla battaglia, abituato a definire me stesso mediante quello a cui mi oppongo. Non mi piace abbracciare spontaneamente l’avversario. Dovevo pregare e faticare per ringraziare Dio di questa positività. E quando riuscivo ad essere contento dell’accoglienza che il mio paese riservava al vescovo di Roma, nel mio animo rimaneva una certa ironia.
Tutto questo, ripensandoci, mi ha riportato a quella sera in cui papa Francesco è stato eletto. La preghiera silenziosa, il non aver citato Gesù, l’aver chiamato se stesso vescovo di Roma, il dichiarare che siamo tutti fratelli, senza riferirsi prima alla fede di quelli che credono; il chiedere a noi tutti di benedire lui, prima di essere lui a benedire noi. Tutto ciò mi aveva lasciato perplesso, interdetto. Quell’accento e quel metodo non erano quelli abituali miei.
Però sapevo, fin da quel primo momento, che egli era il Vicario di Cristo, che aveva la mia stessa fede nel Salvatore, e che esplodeva dal desiderio di comunicare questa fede al mondo. E ho capito che seguire questo papa sarebbe stata per me una cosa scomoda, che mi avrebbe fatto molto, molto bene.
Ed è quello che sta avvenendo. Francesco sta comunicando la presenza del Signore in una maniera che non mi fa star comodo, rannicchiato nel mio solito pensare e nel mio sentire. E ne sono molto grato. Voglio che Cristo non mi lasci mai tranquillo. E proprio attraverso questo papa non sono tranquillo, ma pieno di domanda e di gratitudine. Grazie, papa Francesco.