Ora Andrea sa ogni cosa e gode di un gioco sempre nuovo, differente. Andrea sa che noi non capiamo perché gli innocenti come lei soffrono. Ora Andrea vede come ognuno dei suoi dolori, delle sue lacrime, delle sue risate è stato raccolto con una tenerezza infinita. Ora Andrea vede e abbraccia interamente suo padre e sua madre.
Andrea ha occupato testa e cuore degli spagnoli negli ultimi giorni. È morta la scorsa settimana a soli 12 anni all’Ospedale di Santiago. I suoi genitori avevano chiesto di toglierle il respiratore e l’alimentazione che la tenevano viva. I medici non hanno preso alcuna decisione: sono stati i giudici a farlo. Aveva una malattia degenerativa e negli ultimi mesi non riusciva a tollerare il cibo che le veniva dato.
C’è stato molto clamore intorno a questo fatto. La sinistra ha chiesto una legge per una “morte degna”. La destra, come al solito, è rimasta in silenzio. La morte, per quanto ci si dia da fare, non può mai essere degna, dato che siamo fatti per la vita. Si può certamente morire dignitosamente, ma è un’altra cosa.
Con le parole siamo voluti fuggire da un caso troppo scomodo. Ci sono state parole in favore dell’eutanasia, apparse opportuniste. Ci sono state parole che ricordavano che la vita è sacra dal concepimento fino alla sua fine naturale, ma sono sembrate insufficienti, piccole rispetto alla grande domanda che nessuno osava fare, ma che, coscientemente o meno, ha mantenuto vivo il dibattito: chi può resistere accanto al dolore degli innocenti? È la questione da cui tutti siamo fuggiti. Abbiamo risposto in fretta per evitare che ci bruciasse: alcuni hanno spento il fuoco nella lotta politica e nella rivendicazione, altri ripetendo principi.
Questa fretta, questo fuggire verso altre cose, costituisce una grande opportunità. Andrea ha reso evidente che la tradizione che una volta ci sosteneva nella vita e nella morte si è dissolta. In alcuni momenti ci consoliamo pensando che la morale sarà sufficiente, ma quando la vita colpisce senza silenziatore risulta evidente che non abbiamo il coraggio, la forza o la serietà necessarie per formulare le domande decisive.
Questa debolezza, questo limite, è anche la nostra forza. Diventiamo infatti coscienti del fatto che la natura, e la legge che da essa nasce, è incapace di farci compagnia. Sappiamo che ci servono quelli che per una strana grazia (Peguy dice che la speranza è la virtù che sorprende Dio stesso) restano in piedi. E siamo disposti ad ascoltare, e soprattutto ammirare, chi da decenni accudisce figli disabili, chi li accoglie anche se non sono i suoi, chi notte e giorno si occupa degli ammalati, chi si mostra sereno nel dolore. E vogliamo stargli accanto perché nel momento in cui la promessa dell’etica ci ha deluso sappiamo, o forse solamente intuiamo, che con loro impareremo risposte che sono all’altezza di quelle domande che nemmeno osiamo fare. Vogliamo stare accanto a loro perché la verità non si è cristallizzata in una dottrina, ma nasce dalla carne.
C’è chi insiste a sostenere che di fronte a tanta confusione – quella di chi chiede l’eutanasia, quella di chi lotta per il riconoscimento dell’amore tra omosessuali, quella di chi vuole un figlio su misura – bisogna “dire la verità”. La si dica interamente. La natura e la ragione decadono, sbagliano cammino. È un po’ stupido stupirsene. Ma con o senza cammino, il desiderio di amare ed essere amati, il desidero di felicità e di giustizia sono sempre in marcia. Gli sbagli e l’ostinazione nella ricerca di una risposta ci dicono chi siamo.
Ancora una volta è necessario tornare ad ascoltare la Sua voce, che i suoi occhi tornino a dire: “Beati quelli che piangono”. Quelli che piangono nascosti nell’ombra della notte. Quelli che piangono in pieno giorno.