Gli interventi a un recente convegno dedicato ad Indro Montanelli mi hanno permesso di mettere a fuoco alcune questioni sul grande mondo della comunicazione, e oltre. La prima ruota intorno ad un assioma che molti relatori hanno evocato parlando del protagonista dell’incontro ma anche attribuito senza esitazioni alla professione giornalistica in quanto tale. Suona più o meno così: «Il giornalista combatte contro il potere»; detto in altro modo: «Il giornalista è contro corrente». Raccontando la storia professionale di Montanelli sono stati ricordati parecchi momenti in cui questo principio si è avverato e, del resto, una della sue indimenticabili invenzioni si chiamava proprio Controcorrente, il pungente corsivo con cui quasi quotidianamente, per vent’anni, ha impreziosito la prima pagina della sua creatura più amata, quel Giornale che aveva fondato nel 1974, non condividendo più la linea sinistrorsa del Corriere della Sera, e che abbandonerà quando l’editore, Berlusconi, entrerà direttamente in politica.

Quanto al potere bisognerebbe prima di tutto intendersi sul contenuto di questa parola: si sono visti, per esempio, tanti maramaldi accanirsi contro presunti potenti in realtà già caduti dal piedistallo su cui sono stati sostituiti dai loro accusatori. Quello che comunque non si può dimenticare è che il giornalista è lui stesso un potere e anzitutto verso questo potere – che può esercitare malamente – deve essere estremamente vigilante. Al convegno si è raccontato che durante la seconda guerra mondiale Montanelli ha scritto per il Corriere degli articoli dalla Finlandia invisi al potere politico di allora. Che si chiamava Mussolini; il quale, irritato, chiese al direttore del quotidiano la testa dell’inviato. «Eccellenza, gli rispose il direttore, da quando pubblichiamo i reportage di Montanelli le copie vendute sono aumentate di 400mila. Se le perdo perché caccio il giornalista, me le rifonde lei?». 400mila persone che comprano il giornale per leggere te sono indubbiamente un bel potere.

Poi c’è questo vezzo dell’andare «contro corrente» che moltissimi giornalisti sfoggiano. Non ho spazio per soffermarmici, ma mi chiedo: se tutti questi giornalisti sono così liberi ed eroici da nuotare contro corrente, chi sono quelli che invece la seguono? Quelli che i giornali (anche radio e tv e internet) non li leggono? O, forse, li leggono ma non li capiscono? Qui però incomberebbe minaccioso un altro aneddoto montanelliano: discutendo con una persona di bassa istruzione che lo contestava, al giornalista sfuggì l’espressione «Lei non capisce»; al che l’altro lo fulminò: «Guardi che se io non ho capito, l’imbecille è lei che avrebbe dovuto sapermi spiegare».

Concludo, andando oltre la tematica della comunicazione, con un ultimo aneddoto. Invitato a parlare a dei ragazzi, il vecchio Montanelli disse pressappoco: «Combattete le vostre battaglie per quello in cui credete. Le perderete tutte. Tranne quella di ogni mattina di fronte allo specchio in cui vi guardate». È un atteggiamento nobile, persino cavalleresco, giustamente attento alla propria personale dignità. Ma mi ha fatto venire un po’ di tristezza per l’ombra di solitudine che aleggia. I vecchi cavalieri combattevano per difendere la dama dal drago, per salvare i figli, per liberare la città dagli assedianti. Insomma per degli occhi amati e non solo per non abbassare, di vergogna, i propri davanti allo specchio.