La promessa di papa Francesco

Non c'è miglior smentita alle voci su una presunta malattia del Papa delle parole che egli stesso ieri ha pronunciato nel corso dell'udienza. L'editoriale di GIUSEPPE FRANGI

Non c’è miglior smentita alle voci su una presunta malattia del Papa, delle parole che lui ieri ha pronunciato nel corso dell’udienza, che come da un po’ di tempo a questa parte sono dedicate al tema della famiglia. Parole che colpiscono per la loro lucidità, libertà e insieme laicità. Poche persone come Francesco sanno cogliere la condizione dell’uomo d’oggi, le sue fragilità, i dubbi che si insinuano nella sua coscienza. Il suo è uno sguardo, per così dire, sociologicamente esatto, in quanto non distingue tra chi è dalla parte giusta e chi no. Perché è realisticamente consapevole che tutti siamo esposti al vento che destabilizza questa stagione della storia. Ieri in particolare ha messo a tema una parola umanamente grandiosa, una parola che oggi viene guardata con un po’ di timore e sospetto: la parola promessa. «Ai nostri giorni, l’onore della fedeltà alla promessa della vita famigliare appare molto indebolito» , ha spiegato Francesco. «Da una parte, perché un malinteso diritto di cercare la propria soddisfazione, a tutti i costi e in qualsiasi rapporto, viene esaltato come un principio non negoziabile di libertà. D’altra parte, perché si affidano esclusivamente alla costrizione della legge i vincoli della vita di relazione e dell’impegno per il bene comune».



Promessa è parola che contempla un’audacia. L’etimologia ci spiega il suo significato in un “mettere avanti” o “mettere in presenza di”. Due sfumature che convergono. Mettere avanti significa anticipare qualcosa che riguarda il futuro. Vuol dire gettare il cuore oltre l’istante presente, sottoscrivere un patto di fiducia rispetto a ciò che verrà. La promessa poi è un atto individuale che però richiede sempre l’esistenza di una relazione. Si promette a qualcuno. In questo senso è un atto pubblico, è un atto che porta la persona a uscire da sé stessa. È un antidoto alle grandi patologie di questo nostro tempo: che si chiamino narcisismo, egoismo, autoreferenzialità poco cambia. Sono tutte posizioni che identificano un uomo trincerato in se stesso, in una sorta di auto assedio. Un uomo che non è più capace di quello slancio che genera la promessa. 



Verrebbe da dire che più ancora dell’infedeltà alle promesse, il dramma di oggi sia una sorta di anoressia della promessa. E che non ci siano promesse cattive, perché ogni promessa si genera da una predisposizione positiva. È insomma, in un certo senso, buona per definizione. 

Ma Francesco nel suo percorso ha sottolineato due fattori interni alla promessa che ne danno una dimensione completa. Innanzitutto dice che nel momento in cui genera un legame senza togliere libertà, la promessa evidenzia una propria componente costitutiva di mistero. Legame e libertà sono due concetti in teoria in conflitto, che invece qui convivono: cosa sperimentabile nella vita, ma difficile da spiegare secondo categorie che appartengono alla logica umana.



L’altro fattore della promessa è il miracolo. Perché il tener fede ad una promessa non può mai essere l’esito di uno sforzo umano — è irrealistico immaginarlo — ma ha sempre bisogno di un Altro che lo sostenga. «È necessario sottrarre alla clandestinità il quotidiano miracolo di uomini e donne» che tengono fede alla promessa, ha detto il Papa in uno dei passaggi più belli dell’udienza («La fedeltà alla promessa è pur sempre affidata alla grazia e alla misericordia di Dio»). Dicendo miracolo Francesco ha colto nella fedeltà dell’amore un segno visibile dell’amore di Dio. «Dico miracolo, perché la forza e la persuasione della fedeltà, a dispetto di tutto non finiscono di stupirci. Nessun rapporto d’amore giunge all’altezza del nostro desiderio se non arriva ad abitare questo miracolo dell’anima». Questo miracolo che è l’energia della promessa.

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