Che ne sarà di questa nostra Europa e di questo nostro mondo assediati dall’odio e dalla paura?
Terre che sono sempre state spazio di incontro — pensiamo alle sponde del nostro Mediterraneo — e che per questo sono state immensamente arricchite da una diversità inesauribile — pensiamo alle terre del centro Europa — improvvisamente si scoprono spazi proibiti sotto assedio e vogliono proteggere e conservare quello che hanno già rovinato proprio con questa chiusura gelosa: ma quale mai identità potranno difendere l’Europa e l’umanità se respingono la diversità che le costituisce? E quale identità cristiana metterà sulle proprie bandiere chi rifiuta di accogliere i poveri?
Certo, la minaccia esiste ed è di una barbarie inesorabile, il fondamentalismo non si aggira tra la nostra gente per portare nuove ricchezze e neppure per rubarle, ma semplicemente per distruggerle; e però, se noi stessi rinunciamo a quella nostra ricchezza che è la diversità, diventiamo i primi alleati di questo progetto nichilista e distruttore. E rafforziamo questa indegna alleanza ogni volta che pensiamo di poterle rispondere con la sola forza della negazione.
Nikolaj Berdjaev, il grande filosofo russo cacciato dal suo paese per ordine diretto di Lenin subito dopo la fine della guerra civile, si trovò esattamente di fronte a questo problema: come salvare la Russia, come salvare la propria identità? E la risposta fu chiara e netta: «È impossibile costruire la vita su un sentimento negativo, su un sentimento di odio, di rabbia e di vendetta. È impossibile salvare la Russia con sentimenti negativi. La rivoluzione ha appena avvelenato la Russia di rabbia e l’ha ubriacata di sangue. Che ne sarà della povera Russia se la controrivoluzione l’avvelenerà con nuova rabbia e l’ubriacherà con nuovo sangue? Nessuna strada può essere aperta da elementi negativi, la vita esige al suo principio elementi positivi. Il nostro amore deve sempre avere la meglio sul nostro odio. Dobbiamo amare la Russia e il suo popolo più di quanto odiamo la rivoluzione e i bolscevichi».
E non è che Berdjaev avesse rinunciato alla lotta o che, in nome di questo amore, avesse tutto confuso mettendo sullo stesso piano chi distruggeva la sua terra e chi veniva ucciso dai nuovi barbari che l’avevano conquistata; e non è neppure che Berdjaev non fosse capace di cogliere il senso di quello che stava succedendo o non sapesse più distinguere il valore di quello che si stava distruggendo. A differenza di molti europei occidentali contemporanei che vorrebbero conservare a tutti i costi i loro privilegi e le loro comodità, ma sono presi da mille dubbi circa la liceità della civiltà che gli offre ogni agio, Berdjaev non aveva alcun dubbio sulla inaccettabilità del nuovo regime e sulla distanza abissale che lo divideva da esso; e però questo amore più forte dell’odio, una verità più forte della menzogna, gli aveva dato una comprensione più profonda di quello che era accaduto: se la rivoluzione aveva avuto la meglio, la sua vittoria non poteva non interrogare gli sconfitti e non porre il problema delle loro responsabilità.
Invece di perdersi in una sterile serie di recriminazioni e di accuse che avrebbero lasciato comunque immutata la situazione e perpetuato la sconfitta, Berdjaev aveva spostato il problema su di sé: «La rivoluzione ha avuto luogo non solo fuori di me e al di sopra di me, come un evento incommensurabile con il senso della mia vita, cioè privo per me di ogni significato; essa ha avuto luogo anche con me, come un evento interiore della mia vita. Il bolscevismo ha preso corpo in Russia, e vi ha vinto, perché io sono quello che sono, perché non c’era in me una reale forza spirituale – quella forza della fede capace di spostare le montagne».
E nello stesso momento in cui si chiedeva dove e in che cosa avesse sbagliato il vecchio mondo, nello stesso momento in cui cominciava a scoprirne le debolezze che ne avevano reso possibile la fine, non cadeva nella trappola in cui cadono molti europei contemporanei che credono di poter rispondere con la forza alla forza e non avvertono più loro stessi il fascino del mondo che vorrebbero difendere. Berdjaev superava la tentazione di fidarsi di una forza che era già stata sconfitta e incominciava a intravvedere un rimedio diverso: «Il popolo russo deve essere liberato dal suo stato di bolscevismo, vincere il bolscevismo che porta dentro di sé. Tutto ciò significa forse predicare un atteggiamento passivo, in opposizione all’atteggiamento attivo raccomandato da coloro che vogliono risolvere la tragedia russa con la sola forza militare? Ai tempi della caduta dell’Impero romano e della completa rovina del mondo antico, Diocleziano ha dato prova di grande energia nel tentativo di consolidare l’Impero. Ma sant’Agostino fu forse meno attivo di Diocleziano, e non occupa, nella storia mondiale, un posto più considerevole? La nostra epoca esige innanzitutto opere simili a quelle di sant’Agostino. Abbiamo bisogno della fede e dell’idea. La salvezza delle società che stanno morendo verrà da gruppi animati dalla fede. È la loro trama che formerà il nuovo tessuto della società, sono loro che consolideranno i legami sociali al momento del crollo dei vecchi Stati».
Parole scritte all’inizio degli anni Venti del XX secolo, che sembrano tracciare una prospettiva efficace un secolo dopo.