“La Pasionaria è una donna tenace: a quattro anni e mezzo possiede la fermezza di carattere di una quarantenne”: così l’aveva descritta suo padre, Giovannino Guareschi. Lo scorso 25 ottobre è scomparsa Carlotta Guareschi, avrebbe compiuto 72 anni a novembre. La figlia dello scrittore del Mondo Piccolo di don Camillo e Peppone si occupava insieme al fratello Alberto del Centro Studi e dell’archivio dedicato al padre. Come milioni di lettori ho imparato a conoscere la Pasionaria dal Diario Clandestino che Giovannino scrisse mentre era nel lager in Germania, durante la Seconda guerra mondiale. Carlotta avrebbe conosciuto di persona il padre solo a due anni di età, nata durante la sua detenzione, presa dalla “fretta di venire al mondo”, e da quel momento avrebbe ispirato la figura della Pasionaria che ha animato tanti racconti dello scrittore emiliano. Ho seguito i suoi primi anni nelle tante storie raccontate nel Corrierino delle Famiglie, rubrica contenuta nel settimanale Candido, poi raccolte nell’omonimo volume e ne “Lo Zibaldino”.
L’ho vista diventare grande nella “Vita con Giò” dove Guareschi racconta quelli che sarebbero stati i suoi ultimi anni di vita quando Carlotta si era sposata da poco. Ho iniziato a leggere Guareschi poco dopo la sua morte avvenuta nel 1968, ma ancora adesso, quarant’anni dopo, sento contemporanea la figura della Pasionaria perché incarna un personaggio eterno nella storia del mondo, che ogni persona piena di desiderio non può non amare. La Pasionaria è Tom Sawyer, è Pinocchio di Collodi (il bambino-Pinocchio come lo raffigurò Comencini), è Gian Burrasca, è Pippi Calzelunghe, è Calvin del fumetto Calvin e Hobbes. In una parola, è il bambino che fin dai primi anni di vita mostra la sua personalità e non accetta di essere succube del mondo degli adulti, cercando di confrontarsi con esso in modo libero.
Fin da piccola la Pasionaria appare infatti una bimba intelligente, impertinente, volitiva. “Io sono me”, afferma in modo solenne, esprimendo il suo carattere irriducibile. “Se la mamma ti avesse corretto il compito tu non avresti preso quattro, avresti avuto almeno un sei”, le dice il papà. “Meglio un quattro mio che un sei di un altro” afferma lei. E ancora: “Invece di mettere dentro i pacchi delle stupidaggini, la Befana quando non è sicura ci metta dei soldi, così una si compera quello che vuole e poi si vede il valore del regalo”. Allo stesso tempo la Pasionaria lascia trapelare anche una profondità d’animo: “Ce ne sono tante di ore anche domani” le spiega il padre, “ma quelle di adesso sono più belle perché gli altri dormono e non le adoperano”, risponde lei.
Come fa il Cristo con Don Camillo, in casa Guareschi la Pasionaria e Albertino sono presi sul serio, e non sono zittiti o assecondati in modo acritico, due modi diversi ma uguali per rimbambire i bambini. Il loro argomentare viene sostenuto e in questo modo sono introdotti nella realtà, che è lo scopo dell’educazione, come amava ripetere don Luigi Giussani. La ragione unita al cuore dei bambini li spingere a chiedere spiegazioni e vedere nessi, come il figlio di quattro anni di un mio amico che durante una gita in un bosco al padre che gli additava gli alberi con le foglie, ne mostra uno spoglio e dice: “si ma quello non le ha”. E dopo un po’ dice: “E’ triste”. E dopo un altro silenzio: “Perché le foglie sono andate sugli altri alberi e l’hanno lasciato solo…”.
Il successo dei racconti di Guareschi, che hanno affascinato milioni di persone con la loro ironia e bellezza, sta proprio qui: nel fatto di raccontare una vita familiare senza retorica o idealizzazioni, piena dei problemi di tutti i giorni, ma che è un inno alla coscienza e alla libertà, all’uso del cuore a cui neanche una piccola bambina può rinunciare.
Ho incontrato Carlotta di persona al Meeting di Rimini, in un’occasione in cui si parlava della figura di suo padre. Raccontò di quando partiva per portarla a scuola e, invece, tutt’e due “marinavano”: lui il lavoro, Carlotta la scuola e andavano insieme a vedere il Po. Anche con i capelli bianchi era una persona che non aveva perso il carattere vispo e simpatico che aveva da bambina quando giocava a rimbalzello con i sassi sul Po come la ritrae un filmato d’epoca. Nello stesso tempo aveva acquistato la maturità di una donna adulta, piena di umanità: occhi pieni di curiosità, gli stessi che ho avuto poi modo di vedere in altre occasioni a Roncole e alla Madonna dei Prati. Il suo sguardo e la sua sensibilità, come quelli di suo padre, rimarranno per sempre a fare compagnia al mio cuore, nei giorni tristi e nei giorni lieti. Per questo non posso non associarmi alle parole di don Adriano, parroco di Roncole, al suo funerale: “Ho compreso perché sin da piccolo tuo padre, il nostro Giovannino, ti chiamava la Pasionaria. Per la tua vita e per la tua fede. E per questo Pasionaria lo sei ancora per la tua famiglia. Se Guareschi ti chiamò così è perché aveva colto la tua essenza. Splendida cristiana. Oggi possiamo dire che la morte è illuminata dalla vita: quando la fede è così essa è la chiave per il Paradiso”.