La fotografia riportata qui sopra non ha apparentemente nulla di strano: gente bloccata dietro a delle transenne che guarda qualcosa di bello e atteso (in questo caso si tratta del passaggio di alcuni divi del cinema, ma potrebbe essere qualsiasi cosa) e scatta sorridente le immancabili fotografie col telefonino. Eppure questa fotografia è diventata – come si dice – «virale», cioè ha avuto un enorme successo in rete, moltissimi l’hanno inoltrata ai propri conoscenti; i giornali on line l’hanno pubblicata in evidenza e commentato la sua imprevista diffusione. (Strano fenomeno quello per cui il successo di una foto, di un video, di un testo in Internet viene indicato con un aggettivo – «virale», appunto – che di per sé indica il diffondersi di una malattia!).
Cosa c‘è, dunque, di particolare in questa foto? L’avrete certamente già notata: è la vecchietta appoggiata alla transenna col golfino nero e gli occhiali violetti. Quasi tutti gli altri stanno guardando i loro idoli cinematografici attraverso la mediazione del cellulare; lei no, lei guarda fissamente, direttamente, immediatamente (senza mediazioni) il suo obiettivo. E sembra l’unica a vederlo davvero. La sua soddisfazione non ha quel tanto di eccessivo e sguaiato che si legge nel volto degli altri, ma è contenuta, come più consapevole.
La foto è diventata «virale» perché è stato facile tornare sul refrain – giustissimo – che il troppo uso dello smart phone ci distacca dalla realtà e non ce la fa pienamente godere; anzi rischia addirittura di sostituirla. Nei mesi scorsi sono diventate altrettanto famose le foto del cercatore di balene che, in barca, smanetta sul suo aggeggio elettronico e non si accorge di una specie di Moby Dick che affiora a pochi metri da lui e quella dei ragazzi al museo che stanno seduti sulla panchina a chattare mentre alle loro spalle la Ronda di notte di Rembrandt li guarda stupita.
Viene da chiedersi dove sta la differenza tra la vecchietta e gli altri. Perché questi hanno la compulsiva necessità di scattare foto? Anzitutto per poter documentare a parenti, conoscenti, amici e compagni di social network di aver visto quello che hanno visto. La vecchietta no, non ne ha bisogno: l’esperienza di soddisfazione è indiscutibilmente sua (la faccia lo dimostra chiaramente) e non occorre che altri la confermino. Di sicuro, essendo stata una bella vicenda, la racconterà in giro, magari ai nipoti; ma non avrà bisogno di far vedere nessuna foto perché che sia stato bello i nipotini lo vedranno dal suo sorriso mentre ne parla.
Le foto, poi, gli altri le hanno scattate per ricordare a loro stessi – tra un po’ di tempo, quando sarà passata l’emozione che ora fa gridare di gioia – questo bel momento, questo attimo fuggente. Non sarà la stessa cosa, come documenta la cerimonia un po’ triste di rivedere insieme le foto delle vacanze; eppure abbiamo comprensibilmente bisogno di supporti per la memoria della cose belle e la fotografia è uno die più efficaci. La vecchietta, forse proprio perché è vecchia e ha tanti ricordi, ne conosce la labilità e sa che nessuna fotografia può far tornare il passato e che, quindi, la cosa decisiva (in fondo l’unica che abbiamo a disposizione) è il presente, l’adesso, l’ora. E dunque la cosa più saggia è concentrarsi sul presente.
Che in fondo è eterno. Forse la vecchia signora aveva soltanto dimenticato a casa il cellulare. Che importa? Nella coscienza di chi ha visto non sbadatamente la foto di quell’istante, l’insegnamento rimane per sempre.