Quanto avviene in Siria è un chiaro esempio di “essenzialismo democratico”. In nome di una democrazia concepita astrattamente si prendono decisioni e si agisce contro la vita delle persone. Da più di un anno è noto nelle cancellerie occidentali che senza Assad non si può sconfiggere l’Isis. Il Presidente siriano è un tiranno crudele che da mesi utilizza nei suoi bombardamenti botti di dinamite, che spesso colpiscono i civili. Non si può non riconoscere questa forma di terrorismo di Stato, ma è necessario optare per l’unico bene possibile per il popolo siriano. L’Amministrazione Usa, da un anno alla guida della coalizione internazionale contro i jihadisti, non ha ottenuto grandi risultati. Rischia di commettere i medesimi errori di Bush in Iraq, dello stesso Obama in Egitto o di Hollande in Libia.
Bush ha spodestato Saddam, ha smantellato la polizia e l’esercito iracheni, favorendo così lo sviluppo dello jihadismo in un Paese in cui non esisteva. L’Iraq non si è rimesso in piedi, ma si è trasformato in uno Stato fallito e lo sarà per tanto tempo. Obama ha appoggiato i Fratelli musulmani in nome di un modello democratico che assolutizza le maggioranze senza tenere in considerazione molti altri fattori. Fortunatamente il popolo egiziano ha avuto la tenacia e l’audacia sufficienti per sbarazzarsi di alcuni estremisti che governavano solo in favore di una minoranza. La Francia ha aperto il fuoco in Libia nel 2011 e ora il Paese si è aggiunto alla lista degli Stati falliti.
L’inquilino della Casa Bianca ha appoggiato le proteste della primavera araba in Siria: il suo Governo non ha saputo vedere che la fioritura democratica si stava trasformando in un inverno di distruzione. Bush era spinto dai teocon conservatori, Obama dal suo progressismo, ma il male è lo stesso: una strategia di “national building” astratta, disegnata in spazi chiusi senza ascoltare le chiese e i rappresentanti dell’Islam religioso. Una politica sorda al grido dei rifugiati: “Assad è un tiranno, ma abbiamo bisogno di uno Stato per affrontare l’Isis!”.
Non ci sono soluzioni facili. In Siria sembra esserci una guerra civile tra sunniti – i rapporti tra Al Nusra (la filiale di Al Qaeda) e l’Isis non sono facili – più che una lotta contro il regime di Assad. Metà del territorio è in mano ai jihadisti, l’altra al regime. L’intelligence Usa sa però perfettamente che il regime di Assad è un sistema complesso, che si mantiene in piedi grazie a complicati equilibri di potere. E sa che si potrebbe approfittare della debolezza di un Presidente che non vince le battaglie per negoziare qualche tipo di intesa. Obama avrebbe anche potuto “invitare” l’opposizione libera a raggiungere un accordo di unità nazionale nel summit del Cairo di giugno. Non mancano le informazioni, come non mancavano in Iraq nel 2003, ma abbondano i pregiudizi ideologici.
Da oltre un anno tutte le cancellerie occidentali sanno anche che la soluzione in Siria deve essere in primo luogo politica e non militare. L’ordine dei fattori era evidente: bisognava cominciare da un accordo tra opposizione e regime, poi – o contemporaneamente – coinvolgere la Russia. C’era anche un precedente: l’accordo del 2013 sulle armi chimiche.
Ora gli pseudo-analisti si mettono le mani nei capelli perché Putin, dopo l’incontro a New York con Obama, ha deciso di guidare il suo fronte. C’è grande scandalo perché il grande zar, sostenuto da Iraq e Iran, sta bombardando anche gli oppositori di Assad. Non dobbiamo sorprenderci che Putin si comporti da Putin. La Russia è assetata di protagonismo imperiale e andrà in qualsiasi angolo del pianeta per esercitarlo. Lo scenario internazionale non è più quello del 1989, gli Usa non solo soli e il multilateralismo non è pacifico. Obama si è lasciato battere da Putin, ha perso l’ottima occasione datagli dall’accordo sul nucleare con l’Iran.
Ancora una volta siamo davanti alle conseguenze di un eccesso di astrazione. Perché il nemico o il rivale in Europa non può essere un alleato in Medio Oriente? Ora ci troviamo con due coalizioni internazionali che lottano con obiettivi differenti sul territorio siriano: speriamo che non arrivino a scontrarsi. Se gli Usa vogliono vincere la guerra in Siria devono arrivare a un accordo con la Russia. Inoltre, devono fermare i traffici dell’Isis sul mercato petrolifero e delle armi, facendo pressioni su Arabia Saudita e Qatar perché non sostengano più l’Isis. Diversamente assisteremo a sconfitte su sconfitte in questa Terza guerra mondiale a capitoli.
Ci sarà chi sarà preoccupato dalla moralità di una soluzione di questo tipo. Ma anche nella politica internazionale l’etica si trasforma in qualcosa di generico quando si allontana dai fatti, come quello che il popolo siriano ha bisogno di pace. Il bene del popolo è sempre un gran criterio da seguire.