L’emozione per quanto è accaduto a Parigi ci sta coinvolgendo tutti, ed è importante scorrere le immagini del nostro villaggio globale che si intenerisce non per la città, né per la nazione, ma per quei ragazzi e quelle ragazze, per quella gente che ascoltava un concerto, assisteva ad una partita o, ancora più semplicemente, cenava in trattoria, in un venerdì sera di novembre; un mondo alla ricerca di una parentesi di serenità fatta di amicizie, piccole gioie, affetti e un po’ di spensieratezza. 



L’emozione del Santo Padre per le spietate esecuzioni è la nostra e penso di essere tra i tanti che condividono il suo stesso giudizio: “non sono umani”. Ma se quanto è accaduto “non è umano” occorre pure risalire la strada percorsa da quelli che si sono rivelati dei criminali senza scrupoli: quella che li ha condotti dalle banlieues in cui sono cresciuti alla confusione culturale e ideologica nella quale si sono formati, alle amicizie fatali con il pensiero islamico radicale, ai viaggi in Siria e all’esperienza di un mondo altro, quello del califfato, fino a tornare con nuove amicizie, nuove fratellanze d’armi, pronti a non vedere ed a non riconoscere i propri simili, pronti ad ucciderli. La strada per eliminarne le azioni mortali che li caratterizzano comincia certamente dalla fine, cioè dall’arrestarli e dal neutralizzare — e dove occorre, distruggere — l’universo che li ha prodotti: dagli imam che li hanno adescati al califfato che li ha formati ed armati. 



Su questo non vi possono essere deroghe, nemmeno da parte dell’islam moderato che magari condanna ma poi, se non vede e non denuncia chi predica la violenza, pone seri dubbi sulla sua sincerità. Chi non è pronto a denunciare i sospetti ed a segnalare i maestri dell’odio è preda egli stesso di una malintesa fratellanza che lo intrappola e lo rende oggettivamente complice della deriva disumana che produce i killer eurofobi del Bataclan. 

Ma c’è ovviamente un secondo passo da compiere e consiste nella revisione profonda di una serie di ingenuità e di riduzionismi che sono stati compiuti sul piano sociale e su quello culturale. 



Si tratta in primo luogo di recuperare un principio di fondo di ogni dialogo culturale non meramente retorico: quello in base al quale ogni accoglienza presuppone una presentazione di chi si è e di ciò di cui si è costituiti. Non è affatto un caso che gli eurofobi delle banlieues islamizzate emergono dopo che, per decenni, si è banalizzata e svuotata di qualsiasi significato la cultura occidentale, ridotta al solo attivismo del benessere. Se l’Europa appare come il territorio delle libertà individuali, queste non sono più ancorate a nessun tipo di principio vitale. Si ignorano i fondamenti storico morali che le hanno prodotte. 

Non sono ignorate solo le radici cristiane dell’Europa e la cultura greco-latina nella quale si sono consolidate (al massimo si studiano le lingue separate dall’universo culturale al quale hanno dato vita), ma sono sempre più trascurate anche le tradizioni che hanno preso vita nell’Europa moderna: il pensiero cattolico, quello liberale e quello socialista che fanno parte integrante delle nostre identità culturali, sono solo materiale d’archivio. Tutto procede come se i classici costituiscano un optional da riservare agli studiosi e non la summa dei principi vitali di democrazia e di rispetto del bene del quale abbiamo tutti bisogno per sapere chi siamo. Dopo quarant’anni di declino fino all’attuale silenzio culturale è necessario che una tale summa torni ad essere spiegata e diffusa, che un tale pensiero in tutte le sue articolazioni torni a diventare parte essenziale di una cultura generale e condivisa. Una simile operazione non può non partire dalle università, che debbono tornare a spiegare queste essenziali tradizioni culturali ad un personale insegnante lasciato inopinatamente al di fuori da simili competenze, quando non addirittura chiamato implicitamente a certificarne l’irrilevanza. 

Ma non basta. Se il dialogo costituisce un passaggio irrinunciabile per un futuro di convivenza, occorre anche che si istituiscano luoghi e strutture istituzionali affinché questo stesso dialogo venga praticato con i metri della riflessione metodica. Questi luoghi non possono che risiedere in strutture di livello universitario. È tempo che le grandi religioni monoteiste si diano appuntamento per la costituzione di luoghi di studio condivisi delle diverse tradizioni religiose, dove accanto alla teologia comparata ed alla storia del pensiero ebraico, cristiano e islamico, vi sia la conoscenza delle istituzioni che lo presiedono, dei dibattiti che le attraversano, delle tensioni che le percorrono, del mondo sociale nel quale si sono necessariamente situate. Solo con questa triplice serie di interventi sui tre diversi piani – militare, educativo e culturale – è possibile uscire da un simile disastro morale e umano. Solo se si ci si muove a questi tre livelli le derive della ragione e del delirio fondamentalista potranno essere neutralizzate e sconfitte.