Quand’ero piccolo, il 2 di novembre mi portavano sempre a fare una visita al cimitero a «pregare per i nostri morti». Camminavamo lenti in mezzo alle tombe e ci fermavamo davanti a quelle dei familiari; per me nonni e zii, di cui guardavo curioso le foto sbiadite perché non me li ricordavo da vivi. Ad ogni sosta si recitava una preghiera. Concluso il giro ci avviavamo all’uscita e proprio lì ci voltavamo un’ultima volta: «Diciamo un Requiem aeternam per tutte le anime per cui non prega nessuno». Io pensavo a bambini rimasti orfani o a vecchi sopravvissuti ai loro figli o a stranieri dimenticati da tutti e pregavo per loro con intensa e ingenua devozione.
Oggi sono quarant’anni che è morto Pier Paolo Pasolini e non si può certo dire che ci si stia dimenticando di lui. Anzi; si sente così acutamente la necessità di ricordarlo che tanti ne parlano, tanti lo commemorano, tanti lo interpretano. Col rischio che l’accumulo di parole finisca per assomigliare moltissimo ad un imbarazzato silenzio. Non so, però, quanti oggi diranno una preghiera per lui. Provo a farlo io qui; anche se sono ben lontano dalla semplicità di quand’ero piccolo.
«O Dio grande e misericordioso, Tu solo conosci quello che arde e ribolle nel cuore dell’uomo. Tu solo sai misurare la profondità della passione con cui questo tuo figlio, Pier Paolo, ha abbracciato la vita che gi hai data. Tu l’hai visto ragazzo in difficoltà col padre autoritario, giovane insegnante entusiasta della gente e della lingua friulana, dolente per la precoce e ingiusta morte del fratello. Tu l’hai visto sotto processo per atti osceni ed emigrato a Roma con la madre; l’hai visto cercare nelle borgate accenti di vita autentica e tentare di riportarla nel romanzo, nella poesia, sullo schermo. Tu l’hai visto inseguire la giustizia nel comunismo eppure rimanere un pungolo incandescente e irriducibile per ogni schematismo di partito; l’hai visto mentre ideava e poi realizzava un film sulla vita di Tuo figlio, così vicino alla fede dell’infanzia e così incapace ad abbandonarvisi. Tu l’hai visto angosciarsi per l’avanzata inarrestabile di un nuovo immane potere che tutto avrebbe appiattito (“omologato” diceva), che avrebbe fatto scomparire le lucciole e cementificato le menti; l’hai visto tentare di opporvisi come un corsaro in solitari attacchi alla strapotente flotta nemica. Tu l’hai visto immaginare spiragli per sfuggire al moloch consumistico ricorrendo all’istintiva freschezza originale del sesso; e l’hai visto scoprire con angoscia che proprio di una finta liberazione sessuale il potere si stava servendo per possederci del tutto. Tu l’hai visto quella sera di quarant’anni fa lasciare la trattoria in compagnia di un ragazzo che poi (da solo? con altri? per altri? Tu lo sai) l’avrebbe ucciso. Tu sai tutto questo e più di noi misuri quanta dedizione, quanta implicazione, quanta disponibilità a pagare di persona, quanta passione di ricerca abbia dominato la vita di questo tuo figlio. Ti prego: perdonagli – come ci fai dire nella liturgia funebre – “le colpe che nella sua fragilità non ha saputo evitare”. Perdona a lui e concedi a noi, tiepidi, un poco del suo fuoco».