Dobbiamo riconoscerlo, la difesa delle libertà (specialmente le più essenziali come quella educativa, quella religiosa e di coscienza) è diventata una grande sfida. Il realismo richiede di essere coscienti della complessità con cui opera il potere ai nostri giorni e rivedere, di conseguenza, certe forme di pensiero. La serietà della sfida è d’altra parte un invito a riscoprire cosa rende possibile la libertà, da dove sorge oggi un’esperienza di autentica liberazione.
Da un paio d’anni Moises Naim, ne “La fine del potere”, ci ha avvertito del cambiamento che c’è stato nelle strutture del potere e nei modi di esercitarlo. Secondo Naim, il potere di sempre, di stati e imprese, si è scomposto in micro-poteri che lo hanno sminuito. La sua è una tesi che richiederebbe un dibattito molto lungo, ma indubbiamente contiene un invito interessante ad abbandonare vecchie categorie.
Il pensiero liberale classico ci ha fatto concepire le libertà basiche come uno spazio che non deve essere invaso dallo Stato. È molto importante evitare che i governi, tramite il controllo che esercitano sull’Amministrazione, abbiano a che fare con quello che è proprio della persona e della società. Tuttavia già dalle “Lettere luterane” e dagli “Scritti corsari” di Pasolini sappiamo che c’è stato un cambiamento nella natura del potere. Il popolo è diventato un non-popolo, le nuove forme di dominazione, il nuovo totalitarismo, non è un totalitarismo positivo ma negativo, un’invasione multiforme che svuota la consistenza delle persona. In pochi si accorgono di questo processo. Pasolini segnala che né la destra, né la sinistra lo colgono.
La difesa delle libertà di fronte allo Stato sarà sempre decisiva, ma bisognerà trovare un modo più adeguato per garantirla. In questo nuovo mondo è più urgente che mai un lavoro in favore della libertà che liberi, che sia già un esercizio e un’esperienza di liberazione. A questo proposito può essere utile ricordare come la questione è stata affrontata nella storia.
L’Editto di Milano del 313 è il primo atto che riconosce la libertà religiosa per tutti di fronte allo Stato. La storica Marta Sordi ha spiegato che questo testo implica la “sottomissione” dello Stato che confondeva Dio e Cesare di fronte a un osso troppo duro da affrontare, ovvero l’esercizio della libertà religiosa e di coscienza esercitato senza sosta da un gruppo umano: i cristiani. Questo gruppo aveva portato nella storia, in forma sistematica, qualcosa di nuovo che prima era stato solamente intuito in alcuni picchi del pensiero classico. Attraverso i loro gesti e iniziative, soprattutto il rifiuto di compiere sacrifici davanti all’imperatore, i cristiani mostravano che i diritti di ogni uomo sono pre-politici, non hanno cioè come fonte lo Stato, ma la dignità dell’io, concretamente sostenuta nel suo rapporto con l’infinito. Questa esperienza di liberazione, prima ancora del riconoscimento formale delle libertà, è quel che occorre recuperare.
Gli spazi di libertà non li concede il potere, ma si conquistano esercitandola, mostrando al mondo una maniera differente di vivere l’umano, un’audacia senza compromessi che non dipende da chi governa, da chi gestisce i soldi, ma dalla pura e semplice coscienza di essere amato, preferito.
Non è quindi una questione di quantità. San Paolo, prigioniero due anni a Cesarea Marittima, di fronte al mare e tutte le potenze dell’Impero, apparentemente solo, incarna un cambiamento inarrestabile. È la differenza quel che conta, la differenza di un uomo già liberato.