«Da quest’anno abbiamo stabilito una carta bonus da 500 euro per i professori, i 550mila italiani che compiono 18 anni tutti gli anni riceveranno questa carta. Potranno investire in teatri, musei, concerti un bonus che diventa simbolicamente il benvenuto nella comunità dei maggiorenni ma soprattutto diventa simbolicamente il modo con cui lo Stato ti carica della responsabilità di essere protagonista e co-erede del più grande patrimonio culturale del mondo». Non male come idea. E niente male come motivazione. Matteo Renzi ha tirato fuori dal cilindro un’altra sorpresa delle sue, una di quelle  cose che “non possono non piacere”. E che in questo caso gli garantiscono anche un bel consenso da parte di chi, avendo compiuto 18 anni, entra nel parco dei cittadini elettori.

Ma un’idea non diventa cattiva perché dietro c’è un comprensibile calcolo (comprensibile nel senso che è abbastanza scoperto, e nel senso che chi fa politica al consenso deve pur dedicare attenzione). L’idea è buona. È una di quelle idee in avanti che non è dettata da necessità immediata o da bisogni espliciti. È in avanti nel senso che cerca di stimolare, di indurre a scelte positive e costruttive. Proviamo a capire perché.

Primo. Quando si parla di cultura in Italia se ne parla in modo o elitario, o ideologico, o mercantile. Elitario, quando cultura definisce con il riguardare solo certi ceti sociali alti e una fascia generazionale con i capelli grigi (il vasto popolo delle conferenze delle 17,30…). Ideologico, quando sancisce una condizione di superiorità antropologica (l’insopportabile presunzione che la sinistra non è mai riuscita a tenere sotto controllo). Mercantile, quando, secondo una sciaguratissima metafora, viene equiparata a “petrolio” (ed è quella paccottiglia di sigle private, o meglio quel parastato, chiamato spesso a gestire o valorizzare in modo purtroppo dilettantesco il nostro patrimonio). Questa volta si parla invece, finalmente, di cultura che investe la visione della vita, che mobilita e che prova a disegnare il futuro di una generazione. 

Secondo. La cultura è vita nel senso che può essere anche lavoro. Una recente ricerca ha rivelato che nel settore turistico e culturale la media dell’occupazione giovanile è del 10% superiore alla media di tutti gli altri settori. Sono settori in espansione, che certo hanno bisogno del dinamismo e della fantasia dei giovani. Che hanno bisogno di gente che finalmente viva il rapporto con l’inglese in modo meno complicato rispetto alle generazioni precedenti. Internet, musica, tv via cavo stanno facendo crescere una generazione “naturaliter” anglofona.

Terzo. Cultura significa anche coscienza di appartenenza. Significa riscoperta di un orgoglio non retorico di essere italiani. Mi spiego con un esempio di cui sono stato testimone: domenica scorsa ho assistito ad una lezione mattutina di Giovanni Agosti, docente alla Statale, sulla storia (e la depredazione) di villa Arconati a Castellazzo di Bollate. La villa era una straordinaria Versailles lombarda, completamente saccheggiata nei suo arredi da quei mercanti di cui si diceva poco sopra. 

Ebbene la platea, folta oltre ogni mia immaginazione, era in gran parte di giovani, che in questi ultimi tempi, in collaborazione con la Fondazione ora proprietaria del bene, hanno organizzato e garantito visite guidate (ben 15mila nella stagione che si è appena chiusa). Nella loro presenza e nei loro sguardi si leggeva una passione per il luogo; un sentirlo “proprio” nel suo valore simbolico, culturale e anche materiale. La cultura infatti non è un’idea. È concretezza di luoghi, è bellezza sempre precisamente geolocalizzata. Che questa diventi una consapevolezza in tanti giovani è un fatto di straordinaria importanza e positività.

Infine, c’è un “ma”. Quando si dice “cultura”, specie nell’accezione italiana, si dice anche “mestieri”. Anzi nella nostra storia i mestieri sono la vera armatura della cultura (senza i “mestieri” Brunelleschi non avrebbe mai alzato la sua cupola…). I giovani perciò non sono co-eredi solo di un meraviglioso patrimonio culturale. Devono sentirsi co-eredi anche di un “sapere”; anzi dei mille “saperi” che hanno fatto unico il nostro paese. Purtroppo però i dati sulle scelte delle scuole superiori confermano l’ostinata licealizzazione e ci dicono che gli studenti italiani e le loro famiglie guardano ai “mestieri” come a qualcosa da evitare, con il risultato di finire risucchiati molto spesso nei meccanismi neoschiavistici del mondo del lavoro. I 18enni che incasseranno il bonus di Renzi, la scelta l’hanno già fatta. E purtroppo non basteranno 500 euro a raddrizzare il tiro…