Farmaci salvavita negati, ticket sanitari improponibili per pensionati e redditi bassi, farmaci innovativi disponibili solo per i ricchi. Sono questi alcuni degli allarmi che si sono diffusi dopo la presentazione della Legge di stabilità che prevede tra le altre cose la riduzione del finanziamento del Fondo sanitario nazionale rispetto a quanto promesso alle regioni.
Di fronte a sprechi e deficit cronici nella sanità di molte regioni, l’esecutivo sembra usare lo stesso metodo di sempre, quello dei tagli lineari, facendo così di tutta l’erba un fascio. L’Italia, però, anche nel campo della sanità è un Paese estremamente disomogeneo, come è facile mostrare con alcuni dati. La spesa sanitaria italiana, nel 2013, era in media il 7,2% del Pil, ma con regioni virtuose come la Lombardia che spende il 5,2%, l’Emilia e il Veneto che spendono circa il 6%, e regioni meno virtuose come la Calabria (11,2%), la Sicilia (10,1%) o la Campania (10,8%). Il deficit, nonostante l’impatto positivo dei piani di rientro adottati negli anni recenti, va ancora dai 700milioni di euro del Lazio, ai 379 della Sardegna, ai 102 della Sicilia e 91 della Liguria. In attivo risultano in particolare Umbria e Marche rispettivamente con 24 milioni e 32 milioni. (dati MED – Rapporto n.1 Monitoraggio della Spesa Sanitaria).
Chi spende di più inoltre non garantisce affatto una qualità maggiore, come dimostrano numerosi indicatori, tra cui la scelta degli stessi pazienti: da anni si assiste a un vero esodo dalle Regioni meno efficienti a quelle più efficienti. In Lombardia la quota dei pazienti provenienti da fuori regione è circa del 10%, in Emilia è quasi il 14% e in Toscana l’11%. Secondo i dati Agenas (agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), inoltre, in alcune Asl come quelle della Campania, della Sicilia e del Lazio, il numero dei parti cesarei è quattro volte quello di altre regioni. Se guardiamo poi il tempo di attesa, dal rapporto ministeriale SDO 2014, si evince ad esempio che per un intervento per tumore alla mammella, in Lombardia si attende il ricovero 19 giorni, ma in Sardegna 34 giorni.
Dovrebbe quindi essere ben accolto l’annuncio da parte dei tecnici del ministro Lorenzin di “centralizzazione delle procedure di acquisto di beni e servizi in modo di consentire la razionalizzazione di tale voce di spesa, facilitando il conseguimento di risparmi”? Il problema è il criterio del massimo ribasso, che non può che lasciare più di un dubbio. Una recente ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà e dell’Università degli Studi di Bergamo ha analizzato la relazione tra infezioni ospedaliere e spese degli ospedali per i servizi di igiene in Lombardia a seguito della politica dei tagli lineari. Il risultato, paradossale, è un aumento dei costi della sanità, non una riduzione. Si stima infatti che diminuire dell’1% le spese per l’igiene possa determinare un aumento dello 0,5% nelle infezioni ospedaliere. I maggiori costi per la cura di tali infezioni potrebbero essere di circa 3,5-4 milioni di euro per la sola Regione Lombardia, a fronte di risparmi per i tagli nelle spese per l’igiene di circa 2 milioni di euro.
Che alternativa c’è allora alla proliferazione della spesa? La soluzione non può essere nella sua ricentralizzazione (quando è anche il “centro” ad avere bisogno di imparare da realtà virtuose). Quello che serve è il coraggio di scegliere. Chi spreca va commissariato, ma i sistemi che funzionano vanno incoraggiati e presi ad esempio.
Questo è il risultato che una vera riforma dovrebbe ottenere e le informazioni per farlo non mancano. Oltre ai già citati Agenas e Cergas, dal 2008 opera un sistema di valutazione delle performance sanitarie promosso dall’Istituto Sant’Anna di Pisa e a cui aderiscono oggi le più importanti regioni. L’altro tema riguarda il passaggio (fatto con tutta la gradualità necessaria) dal finanziamento in base alla spesa storica, che favorisce l’inefficienza, a quello in base al costo standard, che favorisce la responsabilità. I costi standard delle prestazioni sanitarie sono pronti da tempo. Perché non utilizzarli?
Un sistema sanitario universale, equo e di qualità, in tempi di scarsità di risorse, è possibile solo se le scelte di politica sanitaria sono basate su criteri di efficienza e di efficacia. Sussidiarietà nell’erogazione dei servizi sanitari (quindi compresenza di pubblico e privato perché tutte le risorse vengano valorizzate), libertà di scelta del luogo di cura da parte del paziente, valutazione della qualità, oltre che controllo dei costi: ecco a cosa bisognerebbe puntare il prima possibile.