Desiderio e attesa dominavano, determinavano la vita di alcuni del primo Avvento della storia. “Durante la loro attesa, il vecchio mondo romano aveva compiuto prodigi di abominio, opposte ambizioni si erano fatte guerra, la terra si era inchinata allo scettro di Cesare Augusto. La terra non si era ancora accorta dell’importanza di ciò che si compiva in lei. Stordita dai rumori di guerre e discordie, non si era accorta di una cosa importante che avveniva: era il silenzio di coloro che aspettavano nella profonda solennità del desiderio. La terra non sapeva nulla di questo. Se si dovesse ricominciare oggi, non lo si saprebbe più di allora. Lo si ignorerebbe con la stessa ignoranza, lo si disprezzerebbe con lo stesso disprezzo, se la costringessero ad accorgersene. Era il silenzio, dico, la vera cosa che si compiva a sua insaputa sulla sua superficie. Questo silenzio era un’autentica azione. Non era un silenzio negativo, assenza di parole; era un silenzio positivo, attivo al di là di qualunque azione. Mentre Ottaviano e Antonio si disputavano l’Impero del mondo, Simeone e Anna aspettavano. Chi tra essi agiva di più?” (E. Hello, Fisionomie dei santi, Fògola, Torino 1977, p. 59)

Nel trambusto in cui viviamo, travolti da tutto quanto succede ed è successo, la vera domanda che ci poniamo è: chi agisce di più? Come arriviamo a questo Natale? Con il desiderio che avvenga la pace, con un silenzio che ci penetra o con un trambusto che ci domina? Siamo in mezzo alla distrazione come tutti? In quanti aspettano nella profonda solennità del desiderio? 

La nostra vita è dominata da una carenza di desiderio. Scriveva papa Francesco nella Evangelii Gaudium, n.2: “Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore… anche i credenti corrono questo rischio e si trasformano in persone scontente senza vita”. Invece di quel silenzio che dominava la vita di Simeone e Anna la nostra vita è stordita dai rumori e questo provoca stanchezza, delusione di noi stessi. Solo l’amore dà riposo, ciò che non si ama alla lunga stanca. “La vita è esausta, spossata, afflitta da una stanchezza reattiva alle sirene dell’iperedonismo che produce anche la precarietà sociale ed economica dell’occidente” (M. Recalcati, “La stanchezza dell’occidente”, Repubblica, 6 ottobre 2013).

Ma per fortuna, come non si stanca di ripeterci papa Francesco, Dio non si stanca di noi e anche quest’anno ci raggiunge nell’apparente nulla, ma più reale di tutto ciò che è reale della Sua Presenza. Come ha detto sempre il papa parlando ai carcerati in Bolivia: “Per te, per te, per te, per me. Un amore attivo, reale. Un amore che guarisce, perdona, rialza, cura. Quando Gesù entra nella vita, uno non resta imprigionato nel suo passato, ma inizia a guardare il presente in un altro modo, con un’altra speranza. Uno inizia a guardare se stesso, la propria realtà con occhi diversi. Non resta ancorato in quello che è successo. E se in qualche momento ci sentiamo tristi, stiamo male, abbattuti, nel suo sguardo tutti possiamo trovare posto”. 

Sono le parole che stanno facendo il giro del mondo nel “volantone” che ha scelto quest’anno il movimento di Comunione e Liberazione, accanto a un disegno di Kandinskij. Chi è stato, chi ha avuto la grazia di passare almeno una volta da Betlemme o da Nazareth lo sa che quei posti, dove Dio si è fatto uomo, erano veramente un nulla: buche e rocce scavate nel deserto dei luoghi già allora sconosciuti al mondo. Eppure di là è partito tutto, la realtà che per sempre invaderà il mondo, raggiungendo uno per uno tutti gli uomini di tutte le razze e di tutte le religioni. 

Con commozione ascolteremo domani le parole del profeta Michea che invita a guardare a Betlemme, la borgata della Giudea testimone del più grande evento della storia: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele”. Mille anni prima di Cristo Betlemme aveva dato i natali al grande re Davide e ora Gesù nasce a Betlemme perché Giuseppe, lo sposo di Maria, essendo della casa di Davide, dovette recarsi in quella cittadina per il censimento, proprio nei giorni in cui Maria diede alla vita Gesù. “Egli stesso sarà la pace!” continua il profeta Michea. 

Betlemme è una città-simbolo della pace, in Terra santa e nel mondo intero. “Purtroppo ai nostri giorni essa non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata e attesa. Dio però non si rassegna mai a questo stato di cose, perciò anche quest’anno a Betlemme e nel mondo intero si rinnoverà nella Chiesa il mistero del Natale, profezia di pace per ogni uomo, che impegna i cristiani a calarsi nelle chiusure, nei drammi e nei conflitti del contesto in cui si vive con i sentimenti di Gesù per diventare ovunque messaggeri di pace, per portare amore dove c’è odio, perdono dove c’è offesa, gioia dove c’è tristezza e verità dove c’è errore, secondo le parole di san Francesco (Benedetto XVI, 20 dicembre 2009).

Il Natale non è una favola per i bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell’umanità in cerca della vera pace. A noi spetta spalancare le porte per accoglierlo.