Oggi non c’è pace come c’era ai tempi di Augusto, e per questo forse c’è ancora bisogno di un miracolo. La globalizzazione ha poco a che fare con ciò che stava accadendo al momento della Pax Romana, quando il primo imperatore impose l’ordine in tutto il mondo conosciuto. Tuttavia, venti secoli fa era facile arrivare da un villaggio come Cafarnao, in una regione sperduta, al cuore dell’Impero. Nei pressi di quel villaggio di cinquanta case passava infatti la “Via Maris”: bastava seguirla per arrivare alle porte di Roma. La lingua poi non era un grande problema, perché allora come oggi si parlavano una o due lingue franche. La grande differenza è l’ordine, una certa tranquillità: il centro del potere era chiaro e anche la legge prevalente. Oggi, infatti, non esiste un solo asse di potere e non c’è nemmeno la pace.
Un secolo fa è saltato l’equilibrio dominante durante il XIX secolo e non abbiamo più trovato quiete. Il finale di quel grande romanzo che è “Il ponte sulla Drina” di Ivo Andric mostra quel momento in cui tutto è saltato in aria. La storia finisce quando la prima bomba della Prima guerra mondiale cade su uno dei pilastri del ponte storico che dà il titolo al romanzo. Con il libro finisce una storia di cinque secoli in cui i popoli dell’Impero austro-ungarico avevano vissuto in relativa armonia.
Le bombe continuano a cadere su quel fiume Drina che è diventato il pianeta all’inizio del XXI secolo. Anche se Hillary Clinton vincerà le elezioni nel 2016, gli Stati Uniti non eserciteranno più la loro vecchia egemonia. La Russia, come sappiamo, continuerà a lottare per riavere il suo vecchio protagonismo, cercando di farsi spazio nei confronti di Europa e Turchia (che si guarda nello specchio del passato ottomano). Tutti speriamo che la Cina non rinuncerà alle sue ambizioni finanziarie e che continuerà a crescere con tassi superiori al 5%, comprando anche debito dell’Occidente. L’impero del capitalismo comunista, vecchio a causa della sua politica delle nascite, compete con la giovane e democratica India e si estende in Africa e America Latina in cerca di materie prime. Il jihadismo percorre come un fantasma il Sahel, destabilizza il Corno d’Africa, sogna di ristabilire il Califfato di Sokoto in Nigeria, domina parte della Siria e dell’Iraq, determina il destino del Pakistan, non è sconfitto in Afghanistan e minaccia il cuore dell’Europa… No, questi non sono decisamente tempi come quelli di Augusto, quando Giuseppe si recò a Betlemme.
Se c’è da cercare un parallelismo forse bisogna tornare al VIII secolo a.C., un periodo di evidente di transizione, quando nacquero le grandi storie di Omero e vennero redatte alcune delle sacre scritture dell’induismo. Un tempo in cui i piccoli regni cedettero il passo ai grandi imperi universali che si succedettero uno dietro l’altro: Assiria, Babilonia, Grecia e Roma.
A metà del VIII secolo, in Medio Oriente, gli assiri non hanno ancora imposto la loro legge. Il re assiro Tiglatpileser III combatte una rivolta negli stati siro-palestinesi. I sovrani di Siria e Israele si uniscono per contrastarlo e vorrebbero che il regno di Giuda si unisca all’alleanza. Il re di Giuda, Acaz, non sa cosa fare e in un gesto di realpolitik si schiera dalla parte degli assiri. Israele cade nelle mani degli assiri e inizia l’esilio per il regno settentrionale. Gerusalemme resiste ancora. È il momento in cui Isaia annuncia che una Vergine darà alla luce un figlio: il Mistero si farà compagno degli uomini. Esilio, regni in lotta, scenari che emergono… Sembra che ci siano delle somiglianze. Anche riguardo la profezia?
Forse in Occidente, la parte più resistente al mondo nell’accettare la gratuità, l’imprevisto, ci sono alcuni segnali di un’apertura senza precedenti. Il vecchio ordine è sparito. La multipolarità politica, la mancanza di un centro, persino il peso della leggerezza serve per cancellare quella barriera culturale che nel corso degli ultimi secoli ci ha fatto pensare che quando accadeva qualcosa era conseguenza di cause sufficienti.
È difficile continuare a pensare che se succede qualcosa è per una necessità, che può essere spiegata da ragioni chiare e distinte. L’etica di alcuni valori sufficienti di per sé, ora scomparsa, non è più un ostacolo. Siamo di fronte a un terreno fertile per il trionfo del nulla. Ma anche un mondo in cui emerge con più forza il desiderio di quello che Hannah Arendt chiamava “un miracolo di improbabilità infinita”. Un desiderio che, per il solo fatto di esistere, è già una profezia, il segnale che quello che si sperava accadrà o sta accadendo. Siamo in una condizione in cui – come dice la Arendt – sappiamo che nulla che ci sia conosciuto determina e determinerà il corso del mondo, perciò possiamo dire che ci sarà un cambiamento decisivo per la nostra salvezza solamente per mezzo di una specie di miracolo.
È l’unica condizione che permette di riconoscere il miracolo delle improbabilità infinite annunciato dal Natale.