Se le religioni non sono il problema

In tanti continuano a posare fiori e lumini in Place de la Republique a Parigi, mentre altri nella stessa piazza preferiscono scatenare scontri e proteste. SALVATORE ABBRUZZESE

Ci sono fatti che fanno pensare, come i gesti di quelle persone che, a Parigi, sono andate a riaccendere i lumini, a risistemare i fiori e i messaggi d’addio, a riposizionare le statuine della Vergine di Guadalupe sotto il monumento alla Marianne in Place de la République, dopo che i professionisti della rivolta in servizio permanente effettivo, ritenendo prioritario il diritto a manifestare su quello al lutto ed al dolore, avevano devastato il tutto.



C’è qualcosa di antropologicamente lontano tra la meccanica isteria dei black block, decisa e pianificata a tavolino, e chi accende un lume, deposita un fiore, scrive una frase, intona un canto per ricordare chi gli era caro. C’è qualcosa di irrimediabilmente distante tra il teatrino degli “indignati” ad orologeria – convenientemente agghindati per l’ordinaria spettacolare manifestazione del loro indistruttibile ego – e il diritto alla memoria, al silenzio, alla preghiera interiore di chi, piangendo un amico, una sorella, o anche un semplice passante, riordina il ricordo, pulendo e risistemando fiori e biglietti, disegni ed immagini.



C’è un respiro profondo dell’umano nei mille gesti di pietà che hanno ricoperto di fiori il marciapiede antistante al “Bataclan” o la statua della “Marianne”. Lo stesso respiro che si era avvertito nei milioni di parigini in piazza dopo gli attentati di gennaio. Un respiro che in molte stanze della politica e della cultura sembra essere ignorato, come se tutto potesse tornare come prima. Come se il primato del presente potesse avere sempre la meglio sul diritto a ricordare chi si è amato e su quello, ancora più potente, di edificarne il ricordo.

Dopo gli attentati di Parigi non è mancato chi ha sostenuto che le religioni siano “il” problema. Per molti di quanti si sono tranquillamente (o stoicamente) installati nello spazio della sola esistenza mortale le religioni figurano effettivamente come un grossolano e, a volte, pericoloso intralcio al cammino della ragione. Se si è pur disposti a riconoscerne le funzioni di coesione sociale che hanno garantito ai primi aggregati umani, è chiaro che, una volta che questi sono giunti nell’era della ragione, queste stesse religioni non costituiscono che intralci ingombranti.



Per capire la loro persistenza e quindi la loro intima “ragion d’essere” conviene allora partire proprio da quei lumi, dalle immagini di Maria e dai garofani ai piedi della Marianne di Place de la République, in un confuso e poliedrico altare, laico e religioso al tempo stesso, dove tutti sembrano convergere in nome del sovrano rispetto e del doveroso e silenzioso omaggio per chi è stato stroncato in una serena “sera del dì festa” ben diversa da quella che Leopardi aveva immaginato.

Ci fa bene al cuore tornare a questo silenzio, ai mille tentativi di dire la propria con un messaggio, una lettera, un garofano, per capire le radici di quel desiderio radicale di bene al quale proprio non smettiamo di rinunciare. L’essere umano può accettare che il corpo perisca, ma non che l’anima scompaia volatilizzandosi nel nulla. 

È da questo doloroso silenzio che nasce il desiderio di un bene che non perisca, di una vita che non venga tolta. Quando poi si muore per volontà di qualcun altro, per il delirio delle notti della ragione, allora il senso di prossimità, il legame possibile tra il cielo e la terra, tra chi non c’è più e chi non vuole assolutamente dimenticarlo, si fa ancora più radicale. Nascono parole, gesti, oggetti la cui unica intenzione è quella di fare compagnia alle anime di quanti ci sono stati tolti, in un tentativo radicalmente umano di recuperare e rinsaldare quel legame che i deliranti assassini di turno pensavano di recidere.

Lumini e messaggi, statuine e disegni vogliono dire questo e l’indignazione corale contro i professionisti della rivolta a prescindere è molto di più di una semplice protesta. Si sta scavando un fossato incolmabile tra chi ha già girato pagina per recuperare appuntamenti folclorico-insurrezionali ai quali sente di non poter mancare e chi, invece, non vuole dimenticare chi c’è stato. Le religioni, quelle vere, quelle cioè accompagnate dal pensiero riflesso di una ragione sempre presente, quelle che accanto all’emozione ed al desiderio di bene affiancano le armi della riflessione per rintracciare i segni, capire i significati, recuperare le tracce di un Dio che sappia dire “tu non morirai”, nascono in primo luogo dal desiderio sommesso e profondo di amare e ricordare chi ci è stato tolto.

Accanto a questo desiderio, accanto ad ogni manifestazione di pietà traspare un’incessante richiesta di irruzione del bene. Da ogni lume acceso, da ogni immagine e da ogni statuina emerge il desiderio di un’epifania che “rinnovi la faccia della terra”, incenerendo il Male alla radice. Ogni fiore ed ogni oggetto è allora il testimone di quest’attesa radicale, di questa speranza nascosta e potente al tempo stesso. Proprio per questo non va profanato, proprio per questo, tanti volti sconosciuti, sono andati a riordinare, a restituire un diritto al ricordo che è anche diritto alla speranza.

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