Alcuni giorni fa l’auditorium dell’Università Carlos III di Madrid era stracolmo, con più di 2.000 studenti (molti altri non sono riusciti a entrare) in attesa di seguire il dibattito tra Albert Rivera (Ciudadanos) e Pablo Iglesias (Podemos), una sorta di “anticipo” della campagna elettorale. Gli studenti, che negli ultimi anni erano in maggioranza astensionisti (non solo per un disinteresse al voto, ma per ogni cosa che non riguardasse il loro piccolo orto interiore), ora vogliono saper tutto di aliquote Irpef, sostegno al reddito, indennità salariali garantite, riforme costituzionali, ecc.
I dibattiti a due, che sembravano non essere più seguiti in tv, ora che sono persino a tre o a quattro risultano appassionanti, con un ritmo frenetico in cui piovono molte proposte, soprattutto tecniche. Le interviste “faccia a faccia” con i politici hanno molta audience. La campagna elettorale avanza e tutto sembra più fresco e aperto che in passato. Le etichette sono ormai superate e grazie ai nuovi partiti sembra essere tornato l’interesse per la politica.
Si tratta di un “fervore” che suscita simpatia. Per tre ragioni: per principio, per stima verso l’impegno nella vita pubblica e perché buona parte di questo interesse si esprime con metodi in linea con la Costituzione.
Per principio non è intelligente, né umano porsi di fronte ai movimenti che segnano la storia e la vita di una società come se ci si trovasse in un castello o in una trincea a difendere posizioni nette ritenute necessariamente migliori delle nuove. Siamo davanti a un cambiamento ampio, che si è manifestato in una crisi istituzionale ed economica senza precedenti. I nuovi processi devono essere analizzati, depurati, senza dubbio compresi e, soprattutto, valorizzati. Tutto dovrà ricominciare daccapo nei prossimi anni in un’Europa che non ha saputo dare sostanza al proprio progetto di unità politica, in una Spagna in cui i valori della Transizione democratica sono rimasti ormai vuoti, in un’Occidente che continua a seguire modelli di mercato e di Stato che si sono manifestati chiaramente insufficienti.
Questo nuovo interesse per la politica ha avuto in gran parte origine il 15 maggio del 2011 (giorno in cui sono sorte le proteste degli indignados). Nel grido contro i partiti politici tradizionali, contro un sistema finanziario salvato e protagonista di alcuni sfratti palesemente disumani. Bruxelles ha detto in non poche occasioni cose simili a quelle degli indignados: gli espropri ipotecari in Spagna non sono stati giusti. Il 15 maggio è stato un affluente di questo nuovo fiume. Ma c’è dell’altro. Negli ultimi mesi, in molti settori, sono sorte numerose iniziative che chiedono un modo diverso di fare politica.
Questa situazione non è male per un Paese come la Spagna, dove tradizionalmente c’è un deficit di impegno nella cosa pubblica. La debolezza di questo impegno è la causa del fatto che la società civile spagnola è una delle più rachitiche d’Europa. La Spagna è in fondo alla classifica europea (insieme al Portogallo) per la partecipazione a campagne di raccolta firme. Anche gli indici di volontariato sono bassi: solo il 17% dei cittadini è coinvolto in azioni di volontariato in modo organizzato. La presenza di enti non profit è inferiore alla media europea. I finanziamenti al Terzo settore mostrano quanto poco “pubblici” siano gli spagnoli. Alla fine il grosso dei finanziamenti arriva da sovvenzioni pubbliche. E nei finanziamenti privati c’è un’evidente anomalia: nel resto d’Europa le imprese contribuiscono per il 25% dei fondi, mentre il restante 75% arriva da singoli; in Spagna avviene esattamente il contrario, con il 75% dei fondi dalle imprese e il 25% dai cittadini.
L’interesse crescente per la politica e la cosa pubblica non significa necessariamente che venga corretta la tradizionale debolezza della società civile spagnola. La nuova politica non si può fare con vecchi schemi, con uno statalismo che chieda allo Stato di risolvere tutti i problemi. Ma sarà sempre più facile ricominciare quando la vita della città inizia a interessarci. Con l’interesse verso la cosa pubblica sarà più facile capire che pubblico e statale non sono la stessa cosa.
Nuova politica, sì, ma principalmente attraverso meccanismi costituzionali. La Spagna non è la Grecia e il desiderio di rinnovamento in gran misura si esprime attraverso metodi che hanno poco a che vedere con il populismo radicale (le intenzioni di voto per Podemos sono sensibilmente diminuite nell’ultimo periodo). Non si mette in discussione l’appartenenza all’Europa, né le fondamenta costituzionali. Non sembra (da quel poco che dicono i sondaggi) che sia in atto una rivoluzione disordinata che minaccia le libertà essenziali. Sì, un cambiamento. Perché no?